Aneddoti

  • L’episodio della calce
Si narra che un giorno il vescovo si era recato a protestare con il responsabile dei lavori di costruzione della nuova cinta muraria, perché un canale di scolo stava danneggiando la vigna dell’episcopato. Costui, stizzito, urtò Ubaldo con così tanta violenza da farlo cadere in una fossa piena di calce. Fortunatamente il vescovo riuscì presto ad uscire, e, senza dire una parola, completamente imbrattato di calce, se ne tornò nella Canonica. Quando l’oltraggio fu reso noto l’uomo venne arrestato e stava per subire una dura condanna: l’esilio, probabilmente, se non la morte. Ubaldo a quel punto intervenne, chiedendo che il costruttore fosse consegnato al suo tribunale, poiché si trattava di un reato di sua competenza. Per quel capomastro fu la salvezza: Ubaldo lo strinse al petto perdonandolo. “Figliolo – gli disse – così Iddio rimetta i tuoi peccati come io ti perdono l’offesa che mi hai fatto. Tu però sii più attento a non recare ingiuria agli altri uomini, perché ciascuno di loro ti è fratello nel Signore”.
  • La guerra civile
Ubaldo riuscì spesso a placare le contese civili che animavano la città di Gubbio nella metà del 1.100. Celebre è l’episodio che gli storici situano tra il 1135 e il 1140, quando, in occasione dell’elezione dei due consoli, due opposte fazioni si scontrarono con le armi. Il vescovo, appena venne avvertito, si precipitò nel luogo della battaglia. Per arrestare quella che poteva diventare una strage, Ubaldo ebbe un’idea brillante: si lasciò cadere per terra, quasi fosse stato colpito. La battaglia cessò all’istante, con i contendenti che, spaventatissimi, si precipitarono verso il vescovo per accertarsi delle sue condizioni. D’improvviso Ubaldo si rialzò lentamente, e, ringraziando i presenti per l’affetto dimostrato, raccomandò loro di dimenticare torti e offese: così il vescovo di Gubbio riuscì a riconciliare le due fazioni. 
  • Gubbio contro undici città nemiche
Nel 1153 una coalizione di undici città e feudatari, capeggiata dai perugini, assediò Gubbio. La situazione per gli eugubini era disperata: non solo i mezzi di difesa erano insufficienti contro un esercito così numeroso, ma quanto più passava il tempo tanto più diminuivano le scorte alimentari. Il vescovo chiamò a raccolta nella cattedrale i cittadini eugubini, invitandoli alla penitenza. “Fratelli miei, non abbiate paura di questa moltitudine di nemici: se il Signore ha intenzione di liberarci, essi non potranno farci alcun male, se il Signore ha deciso di punirci, ci può annientare anche senza costoro. Dio odia il peccato, non il peccatore; punitevi da soli per i peccati che avete commesso! Perché io, nel nome del Signore, vi prometto la vittoria: a patto che i vostri peccati siano stati cancellati attraverso la penitenza”. Il biografo Giordano racconta che, al sentire queste parole, gli eugubini “si precipitarono a fare penitenza, le colpe vennero messe a nudo, ci si impegnò in una vita più rigorosa e per tre giorni la città fu percorsa da processioni, fra inni e preghiere”. Alla preghiera seguì il vittorioso combattimento, preparato con cura e fine strategia militare: una manovra di accerchiamento degli assedianti che avrebbe dovuto coglierli di sorpresa durante la notte e costringerli spaventati alla fuga. Grazie a quella sortita, i nemici furono definitivamente sconfitti e la cittadina salvata.