Camminare insieme per la fraternità

per la Fraternità

  

Domanda:

  • Fraternità: Come possiamo promuovere un senso più profondo di fraternità nella comunità ecclesiale, e quali azioni concrete possiamo proporre per far emergere la condivisione della vita e la solidarietà tra i membri?

RISPONDI ALLA DOMANDA COMPILANDO IL FORM SOTTOSTANTE.

 

 

Introduzione:

 

La testimonianza del Regno di Dio, predicato e incarnato da Cristo, costituisce l’essenza profonda della Chiesa (cfr. Lumen Gentium, nn. 3 e 5). Nell’ampia dialettica sinodale, questa consapevolezza emerge come radicata e diffusa. Si esprime un rammarico ricorrente per le occasioni in cui la Chiesa non riesce a rendere trasparente il nucleo di tale testimonianza. In parole di Papa Francesco: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (Evangelii Gaudium, n. 164). La prima parola del cristianesimo dovrebbe risuonare come eco di questa incondizionata prossimità di Dio in Cristo, non solo come contenuto della missione, ma soprattutto come stile, di cui Gesù è stato un maestro insuperabile. Si avverte un forte desiderio da parte dei battezzati di partecipare a questo slancio testimoniale della Chiesa, ma anche il desiderio che esso sia improntato anzitutto ad una vicinanza con tutti. Come afferma Papa Francesco: “La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale” (Evangelii Gaudium, 171).

Nella vita delle nostre comunità, dovrebbe predominare un unico desiderio: che tutti possano conoscere Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli (VMPC, p.4). Già nei primi tempi della Chiesa, la missione si concretizzava componendo una pluralità di esperienze e situazioni, di doni e ministeri, che Paolo nella lettera ai Romani presenta come una trama di fraternità per il Signore e il Vangelo (cfr Rm 16,1-16). La Chiesa non si realizza se non nell’unità della missione. Questa unità deve farsi visibile anche in una rapporti di fraternità in comunione. Ciò significa realizzare gesti di visibile convergenza, all’interno di percorsi costruiti insieme, poiché la Chiesa non è la scelta di singoli individui ma un dono dall’alto, in una pluralità di carismi e nell’unità della missione. La proposta di una “rapporti di fraternità in comunione” sottolinea che la parrocchia di oggi e di domani dovrà concepirsi come un tessuto di relazioni stabili (VMPC, p.27).

Il legame indissolubile tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è espresso in alcuni testi della Scrittura che è bene considerare e meditare attentamente. Si tratta di un messaggio a cui spesso ci abituiamo, lo ripetiamo quasi meccanicamente, senza però assicurarci che abbia una reale incidenza nella nostra vita e nelle nostre comunità. Quanto sia pericolosa e dannosa questa assuefazione che ci porta a perdere la meraviglia, il fascino, l’entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia! La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’ “uscita da sé verso il fratello” come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio. Per questo motivo, “anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (Evangelii Gaudium, 179). Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove. (Cf. Evangelii Gaudium, 179)

 

 

Atti 2, 41-47

Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

42Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

 

1 Cor 12, 27-31. 13, 1-3

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? 31Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

2E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. 9Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.

12Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. 13Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

 

Dalla Cost. dog. Lumen gentium n.13: L’unico popolo di Dio è universale, 16 novembre 1964

 

  1. 13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. Eb 1,2), perché fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).

In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra » [23]. Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell’unità dello Spirito di lui [24].

In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell’unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c’è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità [25], tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l’unità, ma piuttosto la serva. E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell’Apostolo: « Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1 Pt 4,10).

Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

 

 

FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 Novembre 2013

  1. La nuova Gerusalemme, la Città santa (cfr Ap 21,2-4), è la meta verso cui è incamminata l’intera umanità. È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso.

 

  1. Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo.
  2. L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. Perché, così come alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando. Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.

 

  1. Una sfida importante è mostrare che la soluzione non consisterà mai nel fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio, che al tempo stesso ci impegni con gli altri. Questo è ciò che accade oggi quando i credenti fanno in modo di nascondersi e togliersi dalla vista degli altri, e quando sottilmente scappano da un luogo all’altro o da un compito all’altro, senza creare vincoli profondi e stabili: «Imaginatio locorum et mutatio multos fefellit». È un falso rimedio che fa ammalare il cuore e a volte il corpo. È necessario aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità.
  2. Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!

 

110-114 Dopo aver preso in considerazione alcune sfide della realtà attuale, desidero ora ricordare il compito che ci preme in qualunque epoca e luogo, perché «non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore», e senza che vi sia un «primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione». Raccogliendo le preoccupazioni dei Vescovi asiatici, Giovanni Paolo II affermò che, se la Chiesa «deve compiere il suo destino provvidenziale, l’evangelizzazione, come gioiosa, paziente e progressiva predicazione della morte salvifica e della Risurrezione di Gesù Cristo, dev’essere la vostra priorità assoluta». Questo vale per tutti.

L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale. Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio.

La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé. Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio. Essa, mediante la sua azione evangelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera incessantemente al di là di ogni possibile supervisione. Lo esprimeva bene Benedetto XVI aprendo le riflessioni del Sinodo: «È importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori». Il principio del primato della grazia dev’essere un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni sull’evangelizzazione.

Questa salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti, e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati. Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana. Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa «non c’è Giudeo né Greco… perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore! Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove

tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.

 

  1. Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio(Lc4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

 

  1. Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa, i quali costituiscono «il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali».Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero.

 

  1. A noi cristiani questo principio parla anche della totalità o integrità del Vangelo che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. La sua ricchezza piena incorpora gli accademici e gli operai, gli imprenditori e gli artisti, tutti. La “mistica popolare” accoglie a suo modo il Vangelo intero e lo incarna in espressioni di preghiera, di fraternità, di giustizia, di lotta e di festa. La Buona Notizia è la gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli. Così sboccia la gioia nel Buon Pastore che incontra la pecora perduta e la riporta nel suo ovile. Il Vangelo è lievito che fermenta tutta la massa e città che brilla sull’alto del monte illuminando tutti i popoli. Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte.

 

 

XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Relazione di Sintesi, UNA CHIESA SINODALE IN MISSIONE, 2023

 

Per una Chiesa che ascolta e accompagna

Convergenze

  1. Ascolto è il termine che meglio esprime l’esperienza più intensa che ha caratterizzato i primi due anni del percorso sinodale e anche i lavori dell’Assemblea. Lo fa nel duplice significato di ascolto dato e ricevuto, di mettersi in ascolto e di essere ascoltati. L’ascolto è un valore profondamente umano, un dinamismo di reciprocità, in cui offre un contributo al cammino dell’altro e ne riceve uno per il proprio.
  2. Essere invitati a prendere la parola ed essere ascoltati nella Chiesa e dalla Chiesa è stata un’esperienza intensa e inattesa per molti di coloro che hanno partecipato al processo sinodale a livello locale, specie tra quanti subiscono forme di emarginazione nella società e anche nella comunità cristiana. Ricevere ascolto è un’esperienza di affermazione e riconoscimento della propria dignità: questo è uno strumento potente di attivazione delle risorse della persona e della comunità.
  3. Mettere Gesù Cristo al centro della nostra vita richiede una certa abnegazione. In questa prospettiva, dare ascolto richiede la disponibilità a decentrarsi per lasciare spazio all’altro. Lo abbiamo sperimentato nella dinamica della conversazione nello Spirito. Si tratta di un esercizio ascetico esigente, che obbliga ciascuno a riconoscere i propri limiti e la parzialità del proprio punto di vista. Per questo apre una possibilità all’ascolto della voce dello Spirito di Dio che parla anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e può mettere in moto un cammino di cambiamento e di conversione.
  4. Mettersi in ascolto ha una valenza cristologica: significa assumere l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle persone che incontrava (cfr. Fil 2, 6-11); ha anche una valenza ecclesiale, poiché a mettersi in ascolto è la Chiesa, attraverso l’operato di alcuni battezzati che non agiscono in nome proprio, ma della comunità.
  5. Lungo il processo sinodale, la Chiesa ha incontrato molte persone e molti gruppi che chiedono di essere ascoltati e accompagnati. In promo luogo menzioniamo i giovani, la cui domanda di ascolto e accompagnamento è risuonata con forza nel Sinodo a loro dedicato (2018) e in questa Assemblea, che conferma la necessità di una opzione preferenziale per i giovani.
  6. La Chiesa deve ascoltare con particolare attenzione e sensibilità la voce delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi sessuali, spirituali, economici, istituzionali, di potere e di coscienza da parte di membri del clero o di persone con incarichi ecclesiali. L’ascolto autentico è un elemento fondamentale del cammino verso la guarigione, il pentimento, la giustizia e la riconciliazione.
  7. L’Assemblea esprime la propria vicinanza e il proprio sostegno a tutti coloro che vivono una condizione di solitudine come scelta di fedeltà alla tradizione e al magistero della Chiesa in materia matrimoniale e di etica sessuale, in cui riconoscono una fonte di vita. Le comunità cristiane sono invitate a essere loro particolarmente vicine, ascoltandole e accompagnandole nel loro impegno.
  8. In modi diversi, anche le persone che si sentono emarginate o escluse dalla Chiesa, a causa della loro situazione matrimoniale, identità e sessualità chiedono di essere ascoltate e accompagnate, e che la loro dignità sia difesa. Nell’Assemblea si è percepito un profondo senso di amore, misericordia e compassione per le persone che sono o si sentono ferite o trascurate dalla Chiesa, che desiderano un luogo in cui tornare “a casa” e in cui sentirsi al sicuro, essere ascoltate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate. L’ascolto è un prerequisito per camminare insieme alla ricerca della volontà di Dio. L’Assemblea riafferma che i cristiani non possono mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona.
  9. Si rivolgono alla Chiesa in cerca di ascolto e accompagnamento anche persone che patiscono diverse forme di povertà, esclusione ed emarginazione all’interno di società in cui la disuguaglianza cresce inesorabilmente. Ascoltarle consente alla Chiesa di rendersi conto del loro punto di vista e di mettersi concretamente al loro fianco, ma soprattutto di lasciarsi evangelizzare da loro. Ringraziamo e incoraggiamo coloro che sono impegnati nel servizio dell’ascolto e dell’accompagnamento di quanti si trovano in carcere e hanno particolarmente bisogno di sperimentare l’amore misericordioso del Signore e di non sentirsi isolati dalla comunità. A nome della Chiesa essi realizzano le parole del Signore «ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36).
  10. Molte persone vivono una condizione di solitudine che spesso è vicina all’abbandono. Anziani e persone malate sono spesso invisibili nella società. Incoraggiamo le parrocchie e le comunità cristiane a farsi loro prossime ed ascoltarle. Le opere di misericordia ispirate alle parole evangeliche «ero […] malato e mi avete visitato» (Mt 25,39), hanno un profondo significato per le persone coinvolte e anche per fomentare i legami comunitari.
  11. La Chiesa vuole ascoltare tutti, non solo coloro che sanno far sentire la propria voce con maggiore facilità. In alcune regioni, per motivi culturali e sociali, i membri di alcuni gruppi, come i giovani, le donne e le minoranze. possono trovare più difficile esprimersi con libertà. Anche l’esperienza di vivere in regimi oppressivi e dittatoriali erode la fiducia necessaria per parlare liberamente. Lo stesso può accadere quando l’esercizio dell’autorità all’interno della comunità cristiana diventa oppressivo anziché liberatorio.

Questioni da affrontare

  1. L’ascolto richiede un’accoglienza incondizionata. Questo non significa abdicare alla chiarezza nel presentare il messaggio di salvezza del Vangelo, né avallare qualsiasi opinione o posizione. Il Signore Gesù apriva nuovi orizzonti a coloro che ascoltava senza condizioni e siamo chiamati a fare altrettanto per condividere la Buona Notizia con coloro che incontriamo.
  2. Diffuse in molte parti del mondo, le comunità di base o piccole comunità cristiane favoriscono le pratiche di ascolto dei e tra i battezzati. Siamo chiamati a valorizzarne il potenziale, esplorando anche come sia possibile adattarle ai contesti urbani.

Proposte

  1. Che cosa dovremmo cambiare perché coloro che si sentono esclusi possano sperimentare una Chiesa più accogliente? L’ascolto e l’accompagnamento non sono solo iniziative individuali, ma una forma di agire ecclesiale. Per questo devono trovare posto all’interno della programmazione pastorale ordinaria e della strutturazione operativa delle comunità cristiane ai diversi livelli, valorizzando anche l’accompagnamento spirituale. Una Chiesa sinodale non può rinunciare a essere una Chiesa che ascolta e questo impegno deve tradursi in azioni concrete.
  2. La Chiesa non parte da zero, ma dispone già di numerose istituzioni e strutture che svolgono questo compito prezioso. Pensiamo ad esempio al capillare lavoro di ascolto e accompagnamento di poveri, emarginati, migranti e rifugiati realizzato dalle Caritas e da molte altre realtà legate alla vita consacrata o all’associazionismo laicale. Occorre operare per potenziare il loro legame con la vita della comunità, evitando che siano percepite come attività delegate ad alcuni.
  3. Le persone che svolgono il servizio dell’ascolto e dell’accompagnamento, nelle sue diverse forme, hanno bisogno di una formazione adeguata, anche in base al tipo di persone con cui vengono a contatto, e di sentirsi sostenute dalla comunità. Dal canto sua, le comunità hanno bisogno di prendere piena consapevolezza del valore di un servizio esercitato a loro nome e di poter ricevere il frutto di questo ascolto. Allo scopo di dare maggiore evidenza a questo servizio, si propone l’istituzione di un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento fondato sul Battesimo, adattato ai diversi contesti. Le modalità del suo conferimento promuoveranno un maggiore coinvolgimento della comunità.
  4. Si incoraggia il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) a promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede.

 

Approfondimento:

 

… Uno sguardo alla Dottrina Sociale: L’ideale della fraternità:

 

Dal Concilio Vaticano II è emerso un nuovo e più profondo dialogo tra la Chiesa e le società contemporanee. Questa nuova esperienza ha conferito maggiore autorevolezza alla Chiesa, che proclama, basandosi sull’insegnamento del Vangelo, l’aspirazione a una società più umana e giusta per tutti. La Chiesa, attraverso la sua azione evangelizzatrice e sociale, dimostra sempre più il suo volto evangelico accanto agli ultimi, ai poveri e ai deboli, con il potenziale di liberazione e promozione umana che trae dall’ascolto della Parola di salvezza e dal desiderio di realizzare il Regno di giustizia e pace del suo Signore e Maestro.

La dottrina sociale della Chiesa, lungi dall’essere semplicemente una dottrina collaterale, costituisce una forma eloquente della presenza attiva e salvifica della Chiesa nelle società umane. Qual è l’intento di questa dottrina? Lo ricaviamo dalle parole della presentazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa: “Trasformare la realtà sociale con la forza del Vangelo, testimoniata da donne e uomini fedeli a Gesù Cristo, è sempre stata una sfida e lo è ancora, all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana. L’annuncio di Gesù Cristo, ‘buona novella’ di salvezza, d’amore, di giustizia e di pace, non trova facilmente accoglienza nel mondo di oggi, ancora devastato da guerre, miseria e ingiustizie; proprio per questo l’uomo del nostro tempo ha più che mai bisogno del Vangelo: della fede che salva, della speranza che illumina, della carità che ama. La Chiesa, esperta, in umanità, in un’attesa fiduciosa e al tempo stesso operosa, continua a guardare verso ‘i nuovi cieli’ e la ‘terra nuova’ (2Pt 3,13), e a indicarli a ciascun uomo, per aiutarlo a vivere la sua vita nella dimensione del senso autentico. Gloria dei vivens homo: l’uomo che vive in pienezza la sua dignità, rende gloria a Dio, che gliel’ha donata”.

Pochi ideali nella storia hanno esercitato un impatto simile al concetto cristiano della fraternità universale. Fondato sulle Sacre Scritture, questo ideale mette al centro la giustizia e la compassione. Grazie al contributo cristiano, si è sviluppato progressivamente un comportamento di compassione nelle società occidentali, con la convinzione che non si può rifiutare assistenza e aiuto a nessun essere umano, soprattutto al povero, allo straniero, alla vedova, all’orfano. I concetti di giustizia e compassione trovano nel Nuovo Testamento la loro ricchezza nell’ideale più alto di amore e carità, che per il cristiano sono la norma dei rapporti sociali.

La Chiesa delle origini ha annunciato il nuovo ideale della fraternità nelle società in cui è entrata in contatto. Il famoso brano della Lettera a Diogneto mostra come i cristiani partecipassero a tutti gli aspetti della vita sociale e come la loro fede potesse cambiare la società in cui vivevano: “I cristiani… non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per modo di vestire. Non abitano in qualche luogo, città propria, né si servono di qualche dialetto strano, né praticano un genere di vita particolare… Mentre seguono le usanze locali quanto agli abiti, al cibo e al modo di vivere, manifestano come mirabile e, a detta di tutti, paradossale il sistema delle loro istituzioni… Amano tutti, eppure da tutti sono perseguitati… In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo… Invisibile, l’anima è tenuta prigioniera nel corpo visibile: così, dei cristiani si sa che sono nel mondo, ma la loro religione rimane invisibile”.

I primi cristiani erano convinti che la loro fede e il loro stile di vita potessero cambiare le società e si consideravano come “l’anima del mondo”. Questo era un principio radicale per la trasformazione sociale. I Padri della Chiesa hanno approfondito ed esplicitato questa visione, applicandola a situazioni concrete cercando di convertire le mentalità dei loro contemporanei agli ideali del Vangelo. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, rivolge un vigoroso ammonimento ai ricchi ricordando loro che si sarebbero resi colpevoli di furto se non avessero utilizzato la loro ricchezza a beneficio di tutti, poiché i beni del creato erano in origine destinati a tutti gli uomini. Sant’Agostino ha espresso con eloquenza la coscienza sociale della Chiesa, ricordando ai governi della sua epoca l’influenza positiva del Vangelo sulla società: “Coloro che affermano che la dottrina di Cristo sia nemica dello Stato, ci diano un tale esercito, quale la dottrina di Cristo volle che fossero i soldati: ci diano tali provinciali, tali mariti, tali sposi, tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali contribuenti e tali esattori del fisco, quali prescrive che siano la dottrina cristiana, e poi osino chiamarla nemica dello Stato e non esitino piuttosto a confessare che, se essa fosse osservata, sarebbe la potente salvezza dello Stato”.

L’ethos cristiano, con la penetrazione del cristianesimo nel Mediterraneo, ha permesso di permeare la vita sociale con i valori cristiani: matrimonio, famiglia, educazione, governo, commercio, vita economica. I valori cristiani hanno influenzato profondamente l’esercizio della giustizia e della giurisprudenza, il commercio e le professioni, l’insegnamento, le questioni relative ai contratti e ai salari, ai prestiti e agli interessi e ai prezzi, così come nelle arti, nell’architettura e nella letteratura. Si potrebbe affermare che il maggiore impatto della Chiesa sulla società si è manifestato attraverso la penetrante influenza delle regole etiche nel cuore dei processi sociali. La Chiesa, infatti, è riuscita a forgiare atteggiamenti e strutture sociali che hanno fatto dell’Europa un continente culturalmente cristiano. Giovanni Paolo II, e lo stesso Benedetto XVI, hanno spesso ricordato il ruolo del cristianesimo europeo. Anche se si deve ammettere che non sempre la Chiesa, nell’incontro con altre civiltà, ha dato il meglio di sé, è pur vero che nessuno può contestare che ha felicemente reso possibile la condivisione di molti valori che ha lungamente maturato.