Camminare insieme per la Ministerialità

per la Ministerialità  

  • Ministerialità: In che modo possiamo incoraggiare una ministerialità più diffusa, coinvolgendo tutti i membri, e quali azioni specifiche possiamo mettere in atto per favorire questa partecipazione attiva alla missione?

RISPONDI ALLA DOMANDA COMPILANDO IL FORM SOTTOSTANTE.

 

Introduzione:

 

I Padri della Chiesa riconoscevano l’importanza di una comunità inclusiva. Sant’Agostino affermava: “Nulla si ottiene senza fatica, neanche la pace” (Sant’Agostino, Epistolae, 229, 2, 2). Questo richiama la necessità di impegnarsi collettivamente per costruire una comunità in cui tutti si sentano parte integrante. È giunto il momento di immaginare la pastorale come un impegno condiviso, nonostante la diversità dei ruoli. San Giovanni Crisostomo sosteneva: “Non siamo soli. Dobbiamo amare e essere amati; ed è solo nella comunità che l’amore può trovare la sua espressione più autentica” (San Giovanni Crisostomo, In Ioannem, Hom. 8, 1). Ciò suggerisce che la concezione stessa della ministerialità in chiave esclusivamente clericale potrebbe essere superata.

L’annuncio del Vangelo e la testimonianza della presenza di Cristo nel mondo sono compiti affidati all’intera comunità ecclesiale. Sant’Ireneo affermava: “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (Sant’Ireneo, Adversus Haereses, IV, 20, 7). Questo sottolinea che la vita della Chiesa si manifesta pienamente attraverso l’interazione e il coinvolgimento di ogni membro. Nella ricerca di una ministerialità comune dei battezzati, è cruciale valorizzare il ruolo dei laici e delle laiche. Sant’Ambrogio affermava: “La voce del popolo è la voce di Dio” (Sant’Ambrogio, De Tobia, 13, 86). Si richiede di dare forma, secondo la creatività dello Spirito, a nuove forme di ministerialità che rispondano alle esigenze dell’annuncio del Vangelo oggi, come il ministero dell’ascolto, dell’accoglienza e dell’accompagnamento.

 

A riconoscere la parte che spetta ai laici nella comunità di fratelli e sorelle in Cristo esorta Giovanni Paolo II con queste parole: “I laici non sono soltanto destinatari del ministero pastorale, ma devono diventare operatori attivi di esso, per loro vocazione nativa dei laici stessi e per esigenza intrinseca della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Christifideles Laici, 73). E ancora: “In modo particolare potenziare e qualificare tutte le forze vive – religiosi e laici – per quei servizi che non richiedono la funzione insostituibile del sacerdozio ministeriale, è l’unico mezzo per un’adeguata cura pastorale là dove è eccessivo il numero dei fedeli, e per intraprendere un’attiva opera di penetrazione missionaria nell’abito degli indifferenti e dei lontani” (Giovanni Paolo II, Christifideles Laici, 73).

Contribuiscono a ridisegnare l’agire della comunità di fratelli e sorelle in Cristo: i ministri straordinari dell’Eucaristia, gli animatori nelle celebrazioni liturgiche, i catechisti, i responsabili delle aggregazioni ecclesiali, gli educatori e gli animatori della pastorale giovanile, le Caritas parrocchiali, i gruppi missionari e gli altri operatori pastorali. Sono presenze da valorizzare, facendole diventare figure esemplari per l’edificazione della comunità, soggetto comunitario agente.

La tradizionale separazione tra “dentro” e “fuori” la Chiesa, così come la distinzione tra responsabilità nella costruzione della comunità e responsabilità nell’annuncio e nella testimonianza nei contesti di vita, non sono più sostenibili. Sant’Agostino sosteneva: “Dove c’è amore, c’è bellezza” (Sant’Agostino, De Trinitate, VIII, 3, 4). Ciò richiama l’importanza di valorizzare la diversità e il contributo di ogni membro, indipendentemente dal genere. Il mondo, creato e amato da Dio, è amato anche dal suo popolo che, per questo, partecipa attivamente alla vita sociale e politica, senza la pretesa di rivendicare spazi di privilegio ed egemonie culturali, ma ponendosi come sale, luce e lievito del mondo per riqualificare continuamente l’incontro tra le persone, il confronto nella diversità, la scelta delle priorità, la progettazione condivisa, il mutuo sostegno, l’interlocuzione con enti e istituzioni pubbliche e private. Si vorrebbe una Chiesa che vada per le strade alla maniera del Buon Samaritano: pronta a chinarsi e a fasciare le ferite, nel corpo e nello spirito, di chi giace ai margini della via. Nelle narrazioni è emersa in particolare la necessità di un impegno attivo in alcuni ambiti cruciali per il nostro tempo: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità. Qui si deve distinguere tra i gesti essenziali di cui ciascuna comunità non può rimanere priva e la risposta a istanze – in ambiti come carità, lavoro, sanità, scuola, cultura, giovani, famiglie, formazione, ecc. – in ordine alle quali non si potrà non lavorare insieme sul territorio più vasto, scoprire nuove ministerialità, far convergere i progetti. In questo cammino di collaborazione e corresponsabilità, la comunione tra sacerdoti, diaconi, religiosi e laici, e la loro disponibilità a lavorare insieme costituiscono la premessa necessaria di un modo nuovo di fare pastorale (VMPC, 25).

 

 

Dalla 1 lettera ai Corinzi di S. Paolo, 12, 1- 31

Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: “Gesù è anàtema!”; e nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

 

Dalla Cost. dog. Lumen gentium n. 12. 32, 16 Novembre 1964

Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio

  1. 12. Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » [22] mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita.

Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma « distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui » (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: « A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio » (1 Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione. Non bisogna però chiedere imprudentemente i doni straordinari, né sperare da essi con presunzione i frutti del lavoro apostolico. Il giudizio sulla loro genuinità e sul loro uso ordinato appartiene a coloro che detengono l’autorità nella Chiesa; ad essi spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr. 1 Ts 5,12 e 19-21).

 

Dignità dei laici nel popolo di Dio

 

  1. La santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà. «A quel modo, infatti, che in uno- stesso corpo abbiamo molte membra, e le membra non hanno tutte le stessa funzione, così tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, e individualmente siano membri gli uni degli altri » (Rm 12,4-5).

Non c’è quindi che un popolo di Dio scelto da lui: « un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché « non c’è né Giudeo né Gentile, non c’è né schiavo né libero, non c’è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11).

Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio (cfr. 2 Pt 1,1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio comporta in sé unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da una comunità di rapporto: che i pastori della Chiesa sull’esempio di Cristo sono a servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e questi a loro volta prestano volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai maestri. Così, nella diversità stessa, tutti danno testimonianza della mirabile unità nel corpo di Cristo: poiché la stessa diversità di grazie, di ministeri e di operazioni raccoglie in un tutto i figli di Dio, dato che « tutte queste cose opera… un unico e medesimo Spirito» (1 Cor 12,11).

I laici quindi, come per benevolenza divina hanno per fratello Cristo, il quale, pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per servire (cfr. Mt 20,28), così anche hanno per fratelli coloro che, posti nel sacro ministero, insegnando e santificando e reggendo per autorità di Cristo, svolgono presso la famiglia di Dio l’ufficio di pastori, in modo che sia da tutti adempito il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice molto bene sant’Agostino: « Se mi spaventa l’essere per voi, mi rassicura l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza » [112].

 

PAOLO VI, Evangelii Nuntiandi, esortazione apostolica, n. 73, 8 dicembre 1975

 

MINISTERI DIVERSIFICATI

 

  1. 73. Così acquista tutta la sua importanza la presenza attiva dei laici nelle realtà temporali. Non bisogna tuttavia trascurare o dimenticare l’altra dimensione: i laici possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro Pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare.

Non senza provare nel Nostro intimo una grande gioia osserviamo una legione di Pastori, di religiosi e di laici i quali, appassionati della loro missione evangelizzatrice, cercano modi sempre più adatti di annunziare efficacemente il Vangelo. Noi incoraggiamo l’apertura che, in questa linea e con questa sollecitudine, la Chiesa sta oggi realizzando. Innanzitutto apertura alla riflessione, poi a ministeri ecclesiastici capaci di ringiovanire e di rafforzare il suo dinamismo evangelizzatore. Certamente, accanto ai ministeri ordinati, grazie ai quali alcuni sono annoverati tra i Pastori e si consacrano in maniera particolare al servizio della comunità, la Chiesa riconosce il ruolo di ministeri non ordinati ma adatti ad assicurare speciali servizi della Chiesa stessa.

Uno sguardo alle origini della Chiesa è molto illuminante e permette di usufruire di un’antica esperienza, tanto più valida in quanto ha permesso alla Chiesa di consolidarsi, di crescere, e di espandersi. Ma questa attenzione alle fonti dev’essere completata da quella dovuta alle necessità presenti dell’umanità e della Chiesa. Dissetarsi a queste sorgenti sempre ispiratrici, nulla sacrificare di questi valori e sapersi adattare alle esigenze e ai bisogni attuali: queste sono le linee maestre che permetteranno di ricercare con saggezza e di valorizzare i ministeri, di cui la Chiesa ha bisogno e che molti suoi membri saranno lieti di abbracciare per la maggiore vitalità della comunità ecclesiale. Questi ministeri avranno un autentico valore pastorale nella misura in cui si stabiliranno nell’assoluto rispetto dell’unità, attenendosi all’orientamento dato dai Pastori, che sono appunto i responsabili e gli artefici dell’unità della Chiesa.

Tali ministeri, nuovi in apparenza ma molto legati ad esperienze vissute dalla Chiesa nel corso della sua esistenza, – per esempio quelli di catechista, di animatori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al servizio della Parola di Dio o all’assistenza dei fratelli bisognosi, quelli infine dei capi di piccole comunità, dei responsabili di movimenti apostolici, o di altri responsabili – sono preziosi per la «plantatio», la vita e la crescita della Chiesa e per una capacità di irradiazione intorno a se stessa e verso coloro che sono lontani. Noi dobbiamo anche la nostra particolare stima a tutti i laici che accettano di consacrare una parte del loro tempo, delle loro energie, e talvolta la loro vita intera, al servizio delle missioni.

 

GIOVANNI PAOLO II,  Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, su vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo, 30 dicembre 1988

 

  1. 3. Il significato fondamentale di questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è l’ascolto da parte dei fedeli laici dell’appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest’ora magnifica e drammatica della storia, nell’imminenza del terzo millennio. Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio.

Riprendiamo la lettura della parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna”» (Mt 20, 6-7).

Non c’è posto per l’ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone di casa» ripete con più forza il suo invito: «Andate anche voi nella mia vigna». La voce del Signore risuona certamente nell’intimo dell’essere stesso d’ogni cristiano, che mediante la fede e i sacramenti dell’iniziazione cristiana è configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa e dell’umanità, come ci ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane». E’ necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes(7). E’ comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»? E’ assai grande la diversità delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo, peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento. Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e dalle semplificazioni indebite. E’ però possibile rilevare alcune linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, così nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l’ingiustizia e la giustizia, l’angoscia e la speranza.

 

n.4. Come non pensare alla persistente diffusione dell’indifferentismo religioso e dell’ateismo nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse più diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e soprattutto affascinato dalla più antica e sempre nuova tentazione, quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) mediante l’uso d’una libertà senza limiti, l’uomo taglia le radici religiose che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei più diversi «idoli».

E’ veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione»(8). Più volte io stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna dilazione, una nuova evangelizzazione.

Eppure l’aspirazione e il bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli interrogativi più gravi dell’esistenza umana, in particolare l’interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non può non fare propria la parola di verità gridata da Sant’Agostino: «Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te»(9). Così anche il mondo attuale testimonia, in forme sempre più ampie e vive, l’apertura ad una visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la richiesta di essere liberi nell’invocare il Nome del Signore.

 

n.5. Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26), l’essere umano è esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione», che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte» può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati, anche in seguito all’eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all’integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa.

Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono mortalmente interi gruppi umani. Ma la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo.

Di qui il diffondersi sempre più vasto e l’affermarsi sempre più forte del senso della dignità personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre più consapevoli della dignità dell’uomo: non è affatto una «cosa» o un «oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto», dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e religiosi. E stato detto che il nostro è il tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare l’uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo verità la grandezza e la miseria dell’uomo, manifestando, sostenendo e favorendo la sua dignità totale.

Segno e frutto di queste correnti umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E’ questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell’umanità attuale, un vero «segno dei tempi» che viene maturando in diversi campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica. L’essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura umanistica, è un’esigenza insieme universale e individuale.

 

  1. 32. Riprendiamo l’immagine biblica della vite e dei tralci. Essa ci apre, in modo immediato e naturale, alla considerazione della fecondità e della vita. Radicati e vivificati dalla vite, i tralci sono chiamati a portare frutto: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto» (Gv 15, 5). Portare frutto è un’esigenza essenziale della vita cristiana ed ecclesiale. Chi non porta frutto non rimane nella comunione: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, (il Padre mio) lo toglie» (Gv 15, 2). La comunione con Gesù, dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra loro, è condizione assolutamente indispensabile per portare frutto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv15, 5). E la comunione con gli altri è il frutto più bello che i tralci possono dare: essa, infatti, è dono di Cristo e del suo Spirito. Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria. Gesù, infatti, dice ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv15, 16).

La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione. E’ sempre l’unico e identico Spirito colui che convoca e unisce la Chiesa e colui che la manda a predicare il Vangelo «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Da parte sua, la Chiesa sa che la comunione, ricevuta in dono, ha una destinazione universale. Così la Chiesa si sente debitrice all’umanità intera e a ciascun uomo del dono ricevuto dallo Spirito che effonde nei cuori dei credenti la carità di Gesù Cristo, prodigiosa forza di coesione interna ed insieme di espansione esterna. La missione della Chiesa deriva dalla sua stessa natura, così come Cristo l’ha voluta: quella di «segno e strumento (…) di unità di tutto il genere umano»(120). Tale missione ha lo scopo di far conoscere e di far vivere a tutti la «nuova» comunione che nel Figlio di Dio fatto uomo è entrata nella storia del mondo. In tal senso la testimonianza dell’evangelista Giovanni definisce oramai in modo irrevocabile il termine beatificante al quale punta l’intera missione della Chiesa: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 3). Ora nel contesto della missione della Chiesa il Signore affida ai fedeli laici, in comunione con tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande parte di responsabilità. Ne erano pienamente consapevoli i Padri del Concilio Vaticano II: «I sacri Pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all’opera comune»(121). La loro consapevolezza è ritornata poi, con rinnovata chiarezza e con vigore accresciuto, in tutti i lavori del Sinodo.

 

 

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota Pastorale, IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA, 30 maggio 2004, n.12

 

la missionarietà della parrocchia esige che gli spazi della pastorale si aprano anche a nuove figure ministeriali, riconoscendo compiti di responsabilità a tutte le forme di vita cristiana e a tutti i carismi che lo Spirito suscita. Figure nuove al servizio della parrocchia missionaria stanno nascendo e dovranno diffondersi: nell’ambito catechistico e in quello liturgico, nell’animazione caritativa e nella pastorale familiare, ecc. Non si tratta di fare supplenza ai ministeri ordinati, ma di promuovere la molteplicità dei doni che il Signore offre e la varietà dei servizi di cui la Chiesa ha bisogno. Una comunità con pochi ministeri non può essere attenta a situazioni tanto diverse e complesse. Solo con un laicato corresponsabile, la comunità può diventare effettivamente missionaria.

 

XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Relazione di Sintesi, UNA CHIESA SINODALE IN MISSIONE, 2023

 

. La Chiesa è missione

Convergenze

  1. Piuttosto che dire che la Chiesa ha una missione, affermiamo che la Chiesa è missione. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21): la Chiesa riceve da Cristo, l’Inviato del Padre, la propria missione. Sorretta e guidata dallo Spirito Santo, essa annuncia e testimonia il Vangelo a quanti non lo conoscono o non lo accolgono, con quell’opzione preferenziale per i poveri che è radicata nella missione di Gesù. In questo modo concorre all’avvento del Regno di Dio, di cui «costituisce il germe e l’inizio» (cfr. LG 5).
  2. I sacramenti dell’iniziazione cristiana conferiscono a tutti i discepoli di Gesù la responsabilità della missione della Chiesa. Laici e laiche, consacrate e consacrati, e ministri ordinati hanno pari dignità. Hanno ricevuto carismi e vocazioni diversi ed esercitano ruoli e funzioni differenti, tutti chiamati e nutriti dallo Spirito Santo per formare un solo corpo in Cristo. Tutti discepoli, tutti missionari, nella vitalità fraterna di comunità locali che sperimentano la dolce e confortante gioia di evangelizzare. L’esercizio della corresponsabilità è essenziale per la sinodalità ed è necessario a tutti i livelli della Chiesa. Ogni cristiano è una missione in questo mondo.
  3. La famiglia è colonna portante di ogni comunità cristiana. I genitori, i nonni e tutti coloro che vivono e condividono la loro fede in famiglia sono i primi missionari. La famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana, che necessita di un particolare accompagnamento all’interno delle comunità. Il sostegno è necessario soprattutto per i genitori che devono conciliare il lavoro, anche all’interno della comunità ecclesiale e a servizio della sua missione, con le esigenze della vita familiare.
  4. Se la missione è grazia che impegna tutta la Chiesa, i fedeli laici contribuiscono in modo vitale a realizzarla in tutti gli ambienti e nelle situazioni più ordinarie di ogni giorno. Sono loro soprattutto a rendere presente la Chiesa e ad annunciare il Vangelo nella cultura dell’ambiente digitale, che ha un impatto così forte in tutto il mondo, nelle culture giovanili, nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica, delle arti e della cultura, della ricerca scientifica, dell’educazione e della formazione, nella cura della casa comune e, in modo particolare, nella partecipazione alla vita pubblica. Là dove sono presenti, essi sono chiamati a testimoniare Gesù Cristo nella vita quotidiana e a condividere esplicitamente la fede con altri. In particolare i giovani, con i loro doni e le loro fragilità, mentre crescono nell’amicizia con Gesù, si fanno apostoli del Vangelo tra i loro coetanei.

 

  1. I fedeli laici sono sempre più presenti e attivi anche nel servizio all’interno delle comunità cristiane. Molti di loro organizzano e animano comunità pastorali, prestano servizio come educatori alla fede, teologi e formatori, animatori spirituali e catechisti, e partecipano a vari organismi parrocchiali e diocesani. In molte regioni la vita delle comunità cristiane e la missione della Chiesa sono imperniate sulla figura dei catechisti. Inoltre, i laici prestano servizio nell’ambito del safeguarding e dell’amministrazione. Il loro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa; per questo va curata l’acquisizione delle competenze necessarie
  2. I carismi dei laici, nella loro varietà, sono doni dello Spirito Santo alla Chiesa che devono essere fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo. In alcune situazioni può capitare che i laici siano chiamati a supplire alla carenza di sacerdoti, con il rischio che il carattere propriamente laicale del loro apostolato risulti sminuito. In altri contesti, può accadere che i presbiteri facciano tutto e i carismi e i ministeri dei laici vengano ignorati o sottoutilizzati. Si avverte inoltre il pericolo, espresso da molti all’Assemblea, di “clericalizzare” i laici, creando una sorta di élite laicale che perpetua le disuguaglianze e le divisioni nel Popolo di Dio.
  3. La pratica della missione ad gentes realizza un arricchimento reciproco delle Chiese, perché non coinvolge solo i missionari, ma l’intera comunità, che viene stimolata alla preghiera, alla condivisione dei beni e alla testimonianza. Anche le Chiese povere di clero non devono rinunciare a questo impegno, mentre quelle in cui c’è maggiore fioritura di vocazioni al ministero ordinato possono aprirsi alla cooperazione pastorale, in una logica genuinamente evangelica. Tutti i missionari – laici e laiche, consacrate e consacrati, diaconi e presbiteri, in particolare i membri di istituti missionari e i missionari fidei donum – in forza della loro vocazione propria, sono una risorsa importante per creare legami di conoscenza e scambio di doni.
  4. La missione della Chiesa è continuamente rinnovata e alimentata dalla celebrazione dell’Eucaristia, in particolare quando esse ne mette in primo piano il carattere comunitario e missionario.

Questioni da affrontare

  1. È necessario continuare ad approfondire la comprensione teologica delle relazioni tra carismi e ministeri in prospettiva missionaria.
  2. Il Vaticano II e il magistero successivo presentano la missione distintiva dei laici in termini di santificazione delle realtà temporali o secolari. Tuttavia, nella concretezza della pratica pastorale, a livello parrocchiale, diocesano e, recentemente, anche universale, sono sempre più spesso affidati a laici incarichi e ministeri all’interno della Chiesa. La riflessione teologica e le disposizioni canoniche devono essere conciliate con questi importanti sviluppi e impegnarsi a evitare dualismi che potrebbero compromettere la percezione dell’unità della missione della Chiesa.
  3. Nella promozione della corresponsabilità per la missione di tutti i battezzati, riconosciamo le capacità apostoliche delle persone con disabilità. Vogliamo valorizzare il contributo all’evangelizzazione che proviene dall’immensa ricchezza di umanità che portano con sé. Riconosciamo le loro esperienze di sofferenza, emarginazione, discriminazione, a volte patite anche dentro la stessa comunità cristiana.
  4. Le strutture pastorali vanno riorganizzate in modo da aiutare le comunità a far emergere, riconoscere e animare i carismi e i ministeri laicali, inserendoli nel dinamismo missionario della Chiesa sinodale. Sotto la guida dei loro pastori, le comunità saranno capaci di inviare e sostenere coloro che hanno inviato. Si concepiranno quindi principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative.
  5. L’espressione “una Chiesa tutta ministeriale”, utilizzata nell’Instrumentum laboris, può prestarsi a fraintendimenti. Se ne approfondisca il significato, per chiarire eventuali ambiguità.

Proposte

  1. Si percepisce la necessità di una maggiore creatività nell’istituzione di ministeri in base alle esigenze delle Chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani. Si può pensare di ampliare ulteriormente i compiti al ministero istituito del lettore, che già oggi non si limitano al ruolo svolto durante le liturgie. In questo modo si potrebbe configurare un vero e proprio ministero della Parola di Dio, che in contesti appropriati potrebbe includere anche la predicazione. Si esplori anche la possibilità di istituire un ministero da conferire a coppie sposate impegnate a sostenere la vita familiare e ad accompagnare le persone che si preparano al sacramento del matrimonio.
  2. Si invitano le Chiese locali a individuare forme e occasioni in cui dare visibilità e riconoscimento comunitario ai carismi e ministeri che arricchiscono la comunità. Ciò potrebbe avvenire in occasione di una celebrazione liturgica entro cui si affida il mandato pastorale.

 

Approfondimenti:

 

UNA CHIESA DI POPOLO:

IL SENSUS FIDEI COME PRINCIPIO NELL’EVANGELIZZAZIONE[1]

Dario VITALI

«Tutti siamo discepoli missionari»

È innegabile che la Evangelii gaudium conferisce grande enfasi al sensus fidei. Come si è visto, tutta la prima sezione del capitolo III mette a fuoco il tema del Popolo di Dio quale soggetto dell’annuncio, e in questo orizzonte parla del sensus fidei come istinto della fede di cui è do- tata la totalità dei fedeli, in forza dell’unzione dello Spirito ricevuta nel battesimo da ogni membro della chiesa.

Il primo rilievo è che Evangelii gaudium è il primo documento po- stconciliare a trattare diffusamente del sensus fidei. Il tema compariva nella costituzione dogmatica sulla chiesa, nel quadro della teologia del Popolo di Dio, come forma di partecipazione della universitas fidelium alla funzione profetica di Cristo. Il testo è noto:

 

Il Popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo, quando gli rende una viva testimonianza, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e quando offre a Dio un sacrificio di lode, frutto di labbra acclamanti al suo nome (cf Eb 13,15). La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione dello Spirito santo (cf 1Gv 2,20 e 27) non può sbagliarsi nel credere e manifesta questa proprietà che gli è peculiare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l’universale suo con- senso in materia di fede e di costumi. Infatti, per quel senso della fede che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini ma, qual è in realtà, la Parola di Dio (cf 1Ts 2,13), aderisce indefettibilmente “alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Gd 3), con retto giudizio penetra in essa e più pienamente l’ap- plica alla vita (LG 12).

Di quel testo si è spesso enfatizzata la novità, benché si limitasse a ri- prendere un dato largamente attestato nella Tradizione[2]. Semmai la novità non stava nella ripresa del tema in quanto tale, come dimostra il fatto che nel 1950 ad esso fosse ricorso Pio XII per fondare il dogma dell’Assunzione di Maria in cielo[3] e prima ancora Pio IX per fondare il dogma dell’Immacolata Concezione[4]. Il fatto che, salvo qualche spo- radico riferimento, il tema non sia stato mai oggetto di attenzione da parte del Magistero, è già indicativo della novità delle parole di papa Francesco, il quale afferma con forza per tutti e ciascun battezzato la ca pacità attiva e quindi il diritto – che diventa dovere, in forza del dono ricevuto – di partecipare alla missione evangelizzatrice della chiesa.

Il secondo rilievo è il chiaro recupero della nozione di Popolo di Dio, fortemente evidenziata da Lumen gentium ma del tutto trascurata dopo il sinodo straordinario del 1985, a venti anni dal concilio. Il motivo è risa- puto: gli anni dell’immediato post-concilio sono stati segnati da un di- battito a dir poco arroventato sull’ecclesiologia del concilio: da una parte chi sosteneva un’idea misterica della chiesa, privilegiando le categorie del capitolo I di Lumen gentium: sacramento, comunione, ma anche corpo di Cristo, o tempio dello Spirito; dall’altra chi rimarcava la novità del capi- tolo II della costituzione, ma finiva per trasformare la categoria di Popolo di Dio – e quindi anche il sensus fidei – in una bandiera del dissenso contro l’istituzione, accusata di imbrigliare la libertà di parola nella chiesa. La contrapposizione, del tutto estranea alla mens dei Padri e alla logica in- terna della costituzione sulla chiesa, ha molto nuociuto alla causa del con- cilio, in quando ha prestato il fianco all’accusa sempre più insistente che il Vaticano II avesse portato la chiesa fuori binario, con scelte in disconti nuità se non in contrasto con il passato, identificato con la Tradizione. Per scongiurare una disaffezione montante contro il concilio e il rischio di un vero e proprio rigetto, il Sinodo straordinario del 1985 ha determinato una svolta nell’ermeneutica conciliare, indicando l’idea di comunione come quella in grado di fare sintesi della complessa ecclesiologia del Vaticano II[5]. Ma questo ha significato di fatto l’abbandono della teologia del Popolo di Dio, e dei temi ad essa riconducibili, primo tra tutti il sensus fidei, esplicitamente ricollegato al fenomeno del dissenso[6]. Dopo quasi tre decenni, la ripresa di una teologia del Popolo di Dio ha portato con sé anche il recupero di questa capacità di intelligenza della fede propria della totalità dei battezzati.

Il terzo rilievo è l’orizzonte in cui inserisce il tema: l’evangelizza- zione. Si tratta di un elemento di forte novità, perché in genere il sensus fidei veniva evocato nel quadro dello sviluppo dei dogmi, come voce della Tradizione a cui il Magistero poteva appoggiarsi per de- finire una verità di fede: nemmeno il concilio si era distaccato da tale prospettiva, utilizzando il sensus fidei come prova per illustrare e di- mostrare la capacità profetica del Popolo di Dio. D’altronde, nel Medioevo l’idea che la universitas fidelium non può sbagliarsi nel credere era così radicata, che ancora nel XVI secolo Melchior Cano classificava tra i loci theologici la Ecclesia Catholica, cioè l’insieme dei fedeli, come una delle autorità dottrinali a cui il teologo poteva ricorrere per comprovare la verità cattolica contro gli errori degli avversari della chiesa[7]. Purtroppo la teologia controversistica non costituiva un ambiente favorevole al sensus fidei: alla solenne affermazione del- l’infallibilità pontificia nel Vaticano I farà da pendant, nella teologia tra i due concili del Vaticano, l’idea di una infallibilità passiva dei fedeli, ridotti a cassa di risonanza degli insegnamenti della gerarchia, senza alcun diritto di parola nella chiesa. Bisognerà attendere il Vaticano II per vedere un recupero del sensus fidei come capacità attiva della universitas fidelium. Il dettato che «tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo» appare un ulteriore sviluppo di quella prospettiva, in linea con la teologia del Popolo di Dio affermata dal capitolo II di Lumen gentium.

Infine, il recupero del Popolo di Dio come soggetto di evangelizzazione permette di valorizzare tutti e ciascun battezzato nella missione evangelizzatrice della chiesa, a seconda della condizione, della voca- zione, dello stato di vita o della funzione, delle capacità e dei carismi che Dio gli ha donato. In questo modo è resa operante quella condizione di uguaglianza di tutti i membri della chiesa che il concilio aveva affermato, superando finalmente la concezione di societas inaequalium, su cui poggiava l’ecclesiologia tridentina. La Evangelii gaudium radica- lizza la prospettiva conciliare, affermando che l’evangelizzazione nella chiesa non spetta alla sola gerarchia, o a un qualche gruppo di specialisti; è, piuttosto, opera di tutti:

 

In virtù del battesimo ricevuto ogni membro del Popolo di Dio è divenuto discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati, in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di tutti i battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione… Ogni cristiano è missionario, nella misura in cui si è in- contrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù (EG 120).

 

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La comunità sacerdotale nella Chiesa.

 

Il Concilio Vaticano II ha evidenziato la comune appartenenza di ogni cristiano al popolo di Dio, la pari dignità in forza dello stesso Battesimo, la comune responsabilità nella missione e l’identica vocazione alla santità (Cf. LG 9).[8] In un cammino che si dipana tra gioie e dolori, tra le paure e le scelte concrete fatte; nella consapevolezza che la Chiesa è sostenuta dalla forza della Grazia di Dio nello Spirito, affinché per l’umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma permanga nella condizione di degna sposa del suo Signore e non cessi, sotto l’azione dello Spirito santo, di potersi rinnovare nella sua coscienza e autocoscienza, finché attraverso il sacrificio della croce giunga nel regno eterno dei cieli (Cf. LG 9).[9]

Fedeli che nel Battesimo, in Cristo nella Chiesa, nel loro insieme possiedono il comune senso della fede e della testimonianza di essa nella vita di ogni giorno, nel concreto esercizio della carità a cui tutto il popolo di Dio è chiamato prima di tutto con la condotta di vita, nella risposta vocazionale propria di ognuno a Dio, che chiama ad essere santi, secondo la condizione di ognuno, nella Chiesa e nel mondo sotto la guidata del soffio dello Spirito Santo. [10]

 

In tal senso padre Y. Congar afferma:

«l’opera dello Spirito consiste nel realizzare dal di dentro la comunione di milioni di singole persone, sparpagliate lungo i secoli e su tutta l’estensione della terra […] Per la Chiesa e per la predicazione o la testimonianza evangelica lo Spirito Santo è principio profondo e trascendente d’identità, essendo il principio operazionale della Chiesa unico e sempre uguale a se stesso».[11]

 

Tutti membra del corpo mistico di Cristo nella Chiesa mediante il Battesimo in una corresponsabilità verso l’unica santificazione, in particolare nella celebrazione eucaristica.[12] Poiché non si può celebrare il mistero senza Chiesa, ma al tempo stesso non si può parlare dell’eucaristia senza richiamare la sua funzione ecclesiale. Il merito principale di questa riscoperta va assegnato a padre De Lubac che ha rilevato l’immediatezza con cui i padri percepivano il senso ecclesiologico. La non divisibilità fra Chiesa ed Eucaristia è stata lentamente spiritualizzata fino a determinare un rapporto di proporzioni verticali sul tipo eucaristia-divinità.[13] De Lubac sviluppa la reciprocità tematica della relazione, riproponendo l’antica preposizione che «la Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia fa la Chiesa».[14]

Allora la stessa celebrazione eucaristica ci mostra che il popolo di Dio è soggetto; ed è tutto il populus Dei a essere un popolo sacerdotale e profetico,[15] che mediante l’azione dello Spirito santo che sostiene il cammino in Cristo per rendere la loro stessa vita un’offerta gradita a Dio. Momento liturgico in cui emerge anche la particolarità del ministero ordinato, essenziale come presenza, perché permette all’assemblea di essere comunità eucaristica che ripresenta l’evento originario, di modo tale che la Chiesa sia in grado di offrire tutto al Padre. Tutto sempre nella modalità della Chiesa particolare intorno al Vescovo.[16]

 

La cornice a cui ci riferiamo, alla luce di quanto detto sinteticamente prima è quella della Chiesa Popolo di Dio che porta con sé un’immagine di Chiesa che esiste e si presenta al mondo e nel mondo nella configurazione precisa di comunità sacerdotale. Questa nuova articolazione emerge in Lumen gentium dieci.[17] Punto della costituzione sulla Chiesa che possiamo considerare come la chiave di volta dell’intera costituzione dogmatica sulla Chiesa.[18]

In questo punto dieci della Costituzione dogmatica sulla Chiesa si afferma che tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale «licet essentia et non gradu tantum differant» (LG 10); in questo sta la differenza tra i due modi di esercizio dell’unico sacerdozio di Cristo.[19] Si vuole enfatizzare che il sacramento della rigenerazione battesimale che rende Figli di Dio, e abilitati all’esercizio dei tria munera in modo tutto specifico per quella data condizione. In questa condizione battesimale, si innesta l’altra forma di sacerdozio quella ministeriale che trova il suo punto focale nel sacramento dell’Ordine.[20] Il fatto che la differenza non sia da ricercare esclusivamente nel grado, oltre che essere detto dal Concilio nelle sue formulazioni dottrinali, si evince anche dagli effetti che scaturiscono dai due sacramenti: il Battesimo stabilisce una condizione di vita, l’ordine stabilisce in una funzione di servizio per il popolo di Dio perché si possa realizzare il culto pubblico integrale che renda offerta gradita a Dio.[21]

Lo stile di vita nella Chiesa, secondo cui il sacerdozio comune dei fedeli battezzati esercita i tria munera, possiamo leggerlo sempre in Lumen gentium al numero undici[22] per la vita sacramentale e al numero dodici che espone la modalità propria della actuosa partecipatio[23] dei fedeli battezzati, recuperando come capacità attiva del Popolo di Dio il sensus fidei e l’esercizio dei carismi nella testimonianza di vita al Vangelo.[24] Il sacerdozio comune dei fedeli battezzati esprime la dignità originaria della rigenerazione in Cristo che inserisce nella condizione più alta gli occhi di Dio: essere Figli di Dio. In questo senso ridurre il totum della vita cristiana in duo sunt genera christianorum[25] significherebbe sminuire quell’essere figli di Dio mediante il Cristo e lo Spirito datore di vita, che è condizione insuperabile, sopra la quale non è possibile pensare nulla di più grande perché porremmo il discorso solo su funzioni da esercitare e che danno un ruolo nella Chiesa, ma sappiamo che non è così.[26]

Esercizio, quello del sacerdozio comune dei fedeli che, ha come finalità il rendere possibile, il culto spirituale a Dio, attraverso la Chiesa, attraverso il servizio del sacerdozio ministeriale come mediazione tra l’uomo e Dio, perché questa è la sua volontà.[27]

In questo mutuo rapporto di relazione tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, emerge l’importanza della diakonia al Popolo Dio. Il Concilio nei testi prodotti e promulgati, per descrivere questa dimensione di servizio, possiamo vedere che usa una terminologia di ministerialità: abbiamo parole come diakonia, ministero servizio, mostrando chiaramente che si tratta di un ministerium; soprattutto per il sacerdote, che è ministro a servizio di quel che la comunità cristiana è e ha da essere, a servizio di tutta la Chiesa di Cristo, attraverso i tria munera.[28]

In particolare come il sacerdozio comune dei fedeli ha un modo proprio di esercizio dei tria munera, così è anche per il sacerdozio ministeriale in un modo anch’esso tutto particolare in ragione del fatto che è costituto per presiedere la comunità ecclesiale e per il suo ministero della Parola e dell’Eucarestia.[29]

Tutto il servizio è per l’edificazione dell’intera comunità ecclesiale che si configura come un’intera comunità sacerdotale in forza dell’opera dello Spirito, che vivifica la comunità con i suoi molteplici carismi e ministeri verso l’universale santificazione.[30] Senza questa considerazione gli stati di vita cristiani diventano solo dei gradini che separano gli uni dagli altri.

Gli stati di vita nella vita della fede hanno molteplicità di elementi di santificazione a servizio della mediazione sacerdotale del Cristo, sommo sacerdote.[31]

In virtù di quanto detto allora nella Chiesa non potrebbe esistere un ministero come quello presbiterale (chierico) che non sia a servizio della comunità ecclesiale tutta, in un esercizio di tipo pastorale, a servizio di Cristo buon pastore del suo gregge e a favore di tutti gli stati di vita (laici) perché potremmo affermare che il fondamento di ogni particolare stato di vita poggia e si radica sullo stato di vita originale dell’essere Figli di Dio nella Chiesa.

[1]D. Vitali, Una chiesa di popolo: il sensus fidei come principio nell’evangelizzazione: H. M. Yáñez sj, cur., Evangelii gaudium: il testo ci interroga Chiavi di lettura, testimonianze e prospettive, Roma 2014, pp. 53-61.

 

[2] Per una ricognizione del sensus fidei nella storia, cfr Y. Congar, Per una teologia del laicato, Brescia 1966 (originale francese: 1954), 372-411.

[3] Cfr Pio XII, Costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1 novembre 1950), in EE 6 1942.

[4] Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): Acta Pii IX, pars I, vol. I, 615; EE 2/756. 760

[5]. Cfr Sinodo dei Vescovi, relatio finalis “Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro sa- lute mundi” (7. 12. 1985), in EV 9, 1779-1818.

[6] Il testo che più parla del sensus fidei è l’istruzione «Donum Veritatis» della Congregazione per la Dottrina della Fede (24. 05. 1990): EV 12, 244-305. In una ricognizione dei documenti magisteriali, sorprende il silenzio dell’esortazione post-sinodale Christifideles Laici di Giovanni Paolo II (30. 12. 1988) sul sensus fidei (cfr EV 11, 1606-1900).

[7] Nell’elenco dei loci theologici proposto da Melchior Cano nel De locis theologicis libri duo- decim – opera di metodologia teologica edita postuma nel 1563 – il sensus omnium fidelium è una delle auctoritates a cui il teologo può ricorrere per dimostrare la verità cattolica contro gli errori dei Riformatori. Il soggetto del sensus fidelium è la Ecclesia Catholica, vale a dire la totalità dei battezzati, citata come uno dei tre loci theologici interpretativi, inserito in elenco prima dei con- cili ecumenici e della Ecclesia Romana: cfr Melchior Cano, De locis theologicis, liber IV, caput IV.

 

[8] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 50-51.

[9] Id. 51-52; Cf. M., Semeraro, Mistero, comunione e missione 57-59.

[10] Cf. M., Semeraro, Mistero, comunione e missione 63.

[11] Y., Congar, La tradizione e la vita della Chiesa, 63.

[12] Cf. M., Semeraro, Mistero, comunione e missione 93-94.

[13] Cf. H., De Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, 77-101; Cf. M., Semeraro, Mistero, comunione e missione 94-97.

[14] H., De Lubac, Meditazione sulla Chiesa 82.

[15] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 220-232.

[16] Id.233-245.

[17] LG 10.

[18] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 219-223.

[19] Id., Lumen gentium. Storia/Commento/Recezione, Roma 2015.

[20] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 219-223.

[21] Cf. M., Florio – C., Rocchetta, Sacramentaria Speciale. I. Battesimo, confermazione, eucarestia, in Rocchetta, C., Corso di teologia sistematica, vol. 8a; Cf. Florio, M. – Nkindji S.-M., – Cavalli, G., – Gerardi, R., Sacramentaria speciale. II. Penitenza, unzione degli infermi, ordine, matrimonio, in Rocchetta, C., ed., Corso di teologia sistematica, vol. 8b, 237-238.

[22] LG 11.

[23] LG 12. SC 48.

[24] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 54-55 e 227-229.

[25]Cf. Graziano, Decretum, pars II, causa XII, quaestio I, c. 7; Patrologia latina (= PL), a cura di J. P. Migne, 1844‐1855, vol. 187, 884B‐885A.

[26] Cf. Rom 8,16;  Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia  222-223.

[27] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia  223:

[28] Cf. G., Fròsini, «Ministeri», in Barbaglio, G., – Bof, G., – Dianich, S., Teologia, 984.

[29] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 233-234.

[30] Cf. D., Vitali, Mater Ecclesia 208.

[31] Cf. G., Fròsini, «Ministeri» 984.