L’introduzione del vescovo Luciano Paolucci Bedini
Nel documento “Porta Fidei” al numero 10, si sottolinea che professare la fede con la bocca implica un impegno pubblico e una testimonianza. La fede non può essere considerata un fatto privato; è una decisione di stare con il Signore e vivere con Lui. Questo “stare con Lui” conduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, in quanto atto di libertà, richiede anche una responsabilità sociale per ciò in cui si crede. La Chiesa, nel giorno di Pentecoste, manifesta in modo evidente questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare la propria fede senza timore, grazie al dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la testimonianza, rendendola sincera e coraggiosa (Porta Fidei n. 10). Papa Francesco, nel suo discorso ai partecipanti all’incontro nazionale dei referenti diocesani del Cammino sinodale italiano del 25 maggio 2023, enfatizza il ruolo protagonista dello Spirito Santo nel processo sinodale realizzato nella comunione del “NOI” ecclesiale attraverso il Battesimo. Tutti noi siamo chiamati, in virtù del nostro Battesimo, a partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Nelle parrocchie, nelle piccole comunità cristiane, nei movimenti laici, nelle comunità religiose e in altre forme di comunione, donne e uomini, giovani e anziani, siamo tutti invitati ad ascoltarci l’un l’altro per sentire i suggerimenti dello Spirito Santo, che viene a orientare i nostri sforzi umani, immettendo vita e vitalità nella Chiesa e guidandoci in una comunione più profonda in vista della nostra missione nel mondo. Mentre la Chiesa intraprende questo cammino sinodale, dobbiamo fare tutto il possibile per radicarci in esperienze di autentico ascolto e discernimento avviandoci a diventare la Chiesa che Dio ci chiama ad essere.
Papa Francesco sottolinea sempre che nel processo sinodale è lo Spirito Santo a guidare l’ascolto, rendere autentico il dialogo, illuminare il discernimento e orientare le scelte e le decisioni. Solamente in Lui si crea armonia e comunione nella Chiesa.
La fase attuale, denominata “Sapienziale,” mira a garantire che il Cammino Sinodale rispecchi il desiderio di rinnovamento evangelico espresso dai partecipanti nell’ascolto dello Spirito. È essenziale attivare un discernimento operativo in questa fase, identificando chiaramente i passi da compiere e i ponti da costruire con pazienza ma con determinazione. Le consultazioni dei gruppi sinodali e i “Cantieri” aperti nel biennio narrativo hanno generato gratitudine per l’opportunità di esprimere pensieri nella Chiesa e hanno evidenziato indicazioni convergenti, chiare e convincenti.
Nella Chiesa diocesana di Gubbio, questo processo di rinnovamento ha ripreso i suoi passi dall’Assemblea Diocesana del 2023. I partecipanti hanno condiviso idee, aprendo la strada a un dialogo fruttuoso e a un discernimento condiviso. Le indicazioni emerse stanno ora guidando il percorso sinodale nella comunità locale, alimentando la speranza per una Chiesa più vicina al Vangelo e alle esigenze dei fedeli.
Questo materiale è pensato per fornire alcuni spunti comuni su cui partire nella condivisione dei singoli incontri. Di seguito vengono date anche delle indicazioni metodologiche.
Luogo: Centro Pastorale Madonna del Prato
Date Incontri:
- Lunedi 15 Gennaio 2024 21,00-22,00 … Linee guida del Cammino
- Domenica 21 Gennaio 2024 16,00-19,30 … per la Fraternità
- Domenica 11 Febbraio 2024 16,00-19,30 … per la Ministerialità
- Domenica 03 Marzo 2024 16,00-19,30 … per la Corresponsabilità
- Domenica 17 Marzo 2024 16,00-19,30 … per la Formazione alla Vita e alla Fede
- Domenica 7 Aprile 2024 16,00-19,30 … per Strutture a servizio delle persone
Conversazione Spirituale come metodo di confronto:
La conversazione nello Spirito può essere intesa come una prassi di discernimento ecclesiale, resa possibile da una frequentazione costante con la Parola di Dio insieme a una ricerca condivisa, capace di condurre al riconoscimento dei “segni dei tempi”. Nell’incontro delle voci di ciascuno risuona la voce dello Spirito, che trasforma interiormente, apre il cuore a un “di più” di amore, proietta con fiducia verso il futuro, orienta carismi e ministeri a servizio del Vangelo. La conversazione nello Spirito non è una mera tecnica da applicare pedissequamente né una procedura per pochi esperti: è uno stile da acquisire nel tempo, un modo di stare nella realtà da credenti e come Chiesa.
Adottata e adattata in tutte le occasioni di incontro di cui le comunità sono ricche (riunione degli organismi di partecipazione, incontri dei catechisti e degli operatori del- la carità, dei ministri e degli animatori di oratorio, ecc.), crea uno spazio di ascolto e di dialogo che favorisce le comuni decisioni, dispone a una maggiore essenzialità e concretezza nel dibattito, mantiene lo sguardo aperto verso i problemi del mondo.
Il discernimento ecclesiale, immerso nel clima spirituale “acceso” dalla Parola di Dio e dalle risonanze, comporta poi la ricerca delle convergenze, senza appiattire le opinioni e le divergenze, ma valorizzando l’apporto di chi, per doni e compiti ecclesiali, può contribuire a identificare strade nuove sulle quali lasciar maturare il consenso. Chi guida il gruppo deve cercare di evidenziare, nei tornanti del confronto, i punti assodati che non vanno continuamente rimessi in discussione, ponendo invece al successivo dibattito gli aspetti controversi, chiedendo sobrietà nei modi e nella durata degli interventi, e se necessario moderando il confronto. Qualche volta può anche invitare a trascorrere alcuni minuti di silenzio – come da prassi negli ultimi Sinodi, tra un intervento e l’altro – per interiorizza- re, evitare risposte impulsive, riflettere meglio sulle proprie posizioni. Esistono ormai parecchi studi sulla “gestione dei conflitti”, che possono essere utili a chi coordina i gruppi. A poco a poco si impara a distinguere l’essenziale, su cui ritrovarsi tutti, dall’accesso- rio, su cui si possono mantenere vedute e prassi diverse. Questo è il tipo di armonia di cui lo Spirito è maestro (cf. XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum Laboris, n. 39). Infine, gli orientamenti individuati sono sottoposti al discernimento ultimo di chi esercita l’autorità della presidenza, perché possa essere eventualmente assunto, integrato e suggellato con una decisione che porta a compimento l’intero processo. Questa metodologia non è ancora quella della fase profetica, nella quale si dovrà utilizzare anche lo strumento del “voto” per registrare consensi e dissensi; prepara tuttavia quella fase “arando il terreno” per giungere, con le decisioni sinodali finali, al “consenso dei fedeli” (consensus fidelium).
Metodologia per il dialogo nel gruppo sinodale
La conversazione avviene in 3 passaggi:
- In un primo momento ciascuno condivide ciò che ha raccolto rispetto al tema a partire dalla propria preghiera personale (non si riprende o dibatte quanto detto dagli altri!); dopo che ciascuno ha parlato per max 3 min. Poi parla un altro e così via. Non ha importanza se si ripetono cose già dette da altri, anche questo sarà un dato di cui tenere conto nel discernimento. Al termine del giro si lasciano 2/3 minuti in cui ciascuno si chiede: di quello che ho ascoltato che cosa mi è risuonato in modo particolare, che cosa mi ha colpito, mi ha consolato o mi ha messo in difficoltà?
- La risposta viene condivisa nel secondo momento con la stessa procedura del primo giro. Al termine di questo secondo giro si lasciano ancora alcuni minuti in cui ciascuno si chiede: ascoltando le risonanze di questo secondo momento, dove mi sembra che lo Spirito ci stia conducendo? Su che cosa sta facendo convergere la nostra attenzione? (Magari un’osservazione è stata fatta da una sola persona, ma ci si accorge che diversi del gruppo risuonano su di essa: forse lì c’è una parola dello Spirito).
- Nel confronto del terzo momento i membri del gruppo provano a rispondere insieme e scelgono le cose principali da riconsegnare a tutto il gruppo grande; la persona incaricata le annota e poi le consegna alla segreteria diocesana oppure le invia a camminosinodale@diocesigubbio.it unitamente allo scritto che si chiede ad ognuno dei membri della commissione di comporre in riferimento alla domanda del tema.
“Come essere sempre più Chiesa Sinodale?”
Domande per il Cammino:
- Fraternità: Come possiamo promuovere un senso più profondo di fraternità nella comunità ecclesiale, e quali azioni concrete possiamo proporre per far emergere la condivisione della vita e la solidarietà tra i membri?
- Ministerialità: In che modo possiamo incoraggiare una ministerialità più diffusa, coinvolgendo tutti i membri, e quali azioni specifiche possiamo mettere in atto per favorire questa partecipazione attiva alla missione?
- Corresponsabilità: Quali azioni concrete possiamo promuovere per favorire una maggiore corresponsabilità tra i membri della comunità ecclesiale, garantendo che ognuno si senta coinvolto nei processi decisionali?
- Formazione e Vita: Come possiamo favorire le opportunità di formazione alla vita e alla fede, per tutti e, inoltre, quali azioni possiamo intraprendere per aiutarli a scoprire il dono della fede e integrarla nella vita quotidiana?
- Strutture: In che modo la conversione pastorale ci chiede di trasformare le nostre strutture ecclesiali? Quali azioni concrete possiamo suggerire per facilitare la riforma missionaria?
Approfondimento:
COMMEMORAZIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL SINODO DEI VESCOVI DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO[1], 2015
Beatitudini, Eminenze, Eccellenze, Fratelli e Sorelle,
mentre è in pieno svolgimento l’Assemblea Generale Ordinaria, commemorare il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi è per noi tutti motivo di gioia, di lode e di ringraziamento al Signore. Dal Concilio Vaticano II all’attuale Assemblea, abbiamo sperimentato in modo via via più intenso la necessità e la bellezza di “camminare insieme”.
In tale lieta circostanza desidero rivolgere un cordiale saluto a Sua Eminenza il Cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale, con il Sotto-Segretario Sua Eccellenza Monsignor Fabio Fabene, gli Officiali, i Consultori e gli altri Collaboratori della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, quelli nascosti, che fanno il lavoro di ogni giorno fino a tarda serata. Insieme a loro, saluto e ringrazio della loro presenza i Padri sinodali e gli altri Partecipanti all’Assemblea in corso, nonché tutti i presenti in quest’Aula.
In questo momento vogliamo anche ricordare coloro che, nel corso di cinquant’anni, hanno lavorato al servizio del Sinodo, a cominciare dai Segretari Generali che si sono succeduti: i Cardinali Władysław Rubin, Jozef Tomko, Jan Pieter Schotte e l’Arcivescovo Nikola Eterović. Approfitto di tale occasione per esprimere di cuore la mia gratitudine a quanti, vivi o defunti, hanno contribuito con un impegno generoso e competente allo svolgimento dell’attività sinodale.
Fin dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che
costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare[1]. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo[2]. Lo stesso Pontefice prospettava che l’organismo sinodale «col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato»[3]. A lui faceva eco, vent’anni più tardi, San Giovanni Paolo II, allorché affermava che «forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente»[4]. Infine, nel 2006, Benedetto XVI approvava alcune variazioni all’Ordo Synodi Episcoporum, anche alla luce delle disposizioni del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, promulgati nel frattempo[5].
Dobbiamo proseguire su questa strada. Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.
***
Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica.
Dopo aver ribadito che il Popolo di Dio è costituito da tutti i battezzati chiamati a «formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo»[6], il Concilio Vaticano II proclama che «la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi Fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale»[7]. Quel famoso infallibile “in credendo”.
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ho sottolineato come «il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”»[8], aggiungendo che «ciascun Battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del Popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni»[9]. Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa[10].
Èstata questa convinzione a guidarmi quando ho auspicato che il Popolo di Dio venisse consultato nella preparazione del duplice appuntamento sinodale sulla famiglia, come si fa e si è fatto di solito con ogni “Lineamenta”. Certamente, una consultazione del genere in nessun modo potrebbe bastare per ascoltare il sensus fidei. Ma come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza
interpellare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce[11]? Attraverso le risposte ai due questionari inviati alle Chiese particolari, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare almeno alcune di esse intorno a delle questioni che le toccano da vicino e su cui hanno tanto da dire.
Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire»[12]. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7).
Il Sinodo dei Vescovi è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa. Il cammino sinodale inizia ascoltando il Popolo, che «pure partecipa alla funzione profetica di Cristo»[13], secondo un principio caro alla Chiesa del primo millennio:
«Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet». Il cammino del Sinodo prosegue ascoltando i Pastori. Attraverso i Padri sinodali, i Vescovi agiscono come autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica. Alla vigilia del Sinodo dello scorso anno affermavo: «Dallo Spirito Santo per i Padri sinodali chiediamo, innanzitutto, il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama»[14]. Infine, il cammino sinodale culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come
«Pastore e Dottore di tutti i cristiani»[15]: non a partire dalle sue personali convinzioni, ma come supremo testimone della fides totius Ecclesiae, «garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa»[16].
Il fatto che il Sinodo agisca sempre cum Petro et sub Petro – dunque non solo cum Petro, ma anche sub Petro – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità. Infatti il Papa è, per volontà del Signore, «il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei Vescovi quanto della moltitudine dei Fedeli»[17]. A ciò si collega il concetto di «hierarchica communio», adoperato dal Concilio Vaticano II: i Vescovi sono congiunti con il Vescovo di Roma dal vincolo della comunione episcopale (cum Petro) e sono al tempo stesso gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio (sub Petro)[18].
***
La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi»[19] – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino.
Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la «roccia» (cfr Mt 16,18), colui che deve «confermare» i fratelli nella fede (cfr Lc 22,32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi[20], vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr Gv 13,1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei[21].
Non dimentichiamolo mai! Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). Tra voi non sarà così: in quest’espressione raggiungiamo il cuore stesso del mistero della Chiesa – “tra voi non sarà così” – e riceviamo la luce necessaria per comprendere il servizio gerarchico.
***
In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali.
Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale[22], il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli “organismi di comunione” della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale[23]. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col “basso” e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione.
Il secondo livello è quello delle Province e delle Regioni Ecclesiastiche, dei Concili Particolari e in modo speciale delle Conferenze Episcopali[24]. Dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. Siamo a metà cammino, a parte del cammino. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”»[25].
L’ultimo livello è quello della Chiesa universale. Qui il Sinodo dei Vescovi, rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale[26]. Due parole diverse: “collegialità episcopale” e “Chiesa tutta sinodale”. Esso manifesta la collegialitas affectiva, la quale può pure divenire in alcune circostanze “effettiva”, che congiunge i Vescovi fra loro e con il Papa nella sollecitudine per il Popolo di Dio[27].
***
L’impegno a edificare una Chiesa sinodale – missione alla quale tutti siamo chiamati, ciascuno nel ruolo che il Signore gli affida – è gravido di implicazioni ecumeniche. Per questa ragione, parlando a una delegazione del patriarcato di Costantinopoli, ho recentemente ribadito la convinzione che
«l’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese»[28].
Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese[29].
Mentre ribadisco la necessità e l’urgenza di pensare a «una conversione del papato»[30], volentieri ripeto le parole del mio predecessore il Papa Giovanni Paolo II: «Quale Vescovo di Roma so bene […] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova»[31].
Il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nellla giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi [32]. Grazie.
[1] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.pdf
Sinodo e Sinodalità
Sinodo dei Vescovi, VADEMECUM PER IL SINODO SULLA SINODALITÀ, Settembre 2021
Cos’è la sinodalità? Il retroterra di questo Sinodo
Con la convocazione di questo Sinodo, Papa Francesco invita l’intera Chiesa a riflettere su un tema decisivo per la sua vita e la sua missione: “È proprio questo cammino di sinodalità che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio” (FRANCESCO, Discorso per la cerimonia di commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015).
. Sulla scia del rinnovamento della Chiesa proposto dal Concilio Vaticano II, questo cammino percorso insieme è al tempo stesso un dono e una responsabilità. Riflettendo insieme sul cammino percorso finora, i diversi membri della Chiesa potranno imparare dalle reciproche esperienze e prospettive, sotto la guida dello Spirito Santo (DP 1). Illuminati dalla Parola di Dio e uniti nella preghiera, saremo in grado di discernere i processi da attivare per cercare la volontà di Dio e seguire le vie che Dio ci chiama a percorrere verso una comunione più profonda, una partecipazione più piena e una maggiore apertura a compiere la nostra missione nel mondo. La Commissione Teologica Internazionale (CTI) descrive la sinodalità in questo modo: ‘Sinodo’ è una parola antica e venerabile nella Tradizione della Chiesa, il cui significato attinge ai temi più profondi della Rivelazione […] Indica il cammino percorso insieme dal Popolo di Dio. Allo stesso modo, si riferisce al Signore Gesù, che si presenta come ‘la via, la verità e la vita’ (Gv 14,6), e al fatto che i cristiani, suoi seguaci, erano originariamente chiamati ‘seguaci della Via’ (cfr. At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22).
Innanzitutto, la sinodalità denota lo stile particolare che caratterizza la vita e la missione della Chiesa, esprimendo la sua natura di Popolo di Dio che cammina insieme e si riunisce in assemblea, convocato dal Signore Gesù nel potere dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. La sinodalità dovrebbe esprimersi nel modo ordinario di vivere e di operare della Chiesa.
In questo senso, la sinodalità permette a tutto il Popolo di Dio di camminare insieme, in ascolto dello Spirito Santo e della Parola di Dio, per partecipare alla missione della Chiesa nella comunione che Cristo stabilisce tra noi. In definitiva, questo cammino percorso insieme è il modo più efficace per manifestare e mettere in pratica la natura della Chiesa come Popolo di Dio pellegrino e missionario (DP 1).
L’intero Popolo di Dio condivide una comune dignità e vocazione attraverso il Battesimo. Tutti noi siamo chiamati, in virtù del nostro Battesimo, a partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Nelle parrocchie, nelle piccole comunità cristiane, nei movimenti laici, nelle comunità religiose e in altre forme di comunione, donne e uomini, giovani e anziani, siamo tutti invitati ad ascoltarci l’un l’altro per sentire i suggerimenti dello Spirito Santo, che viene a orientare i nostri sforzi umani, immettendo vita e vitalità nella Chiesa e guidandoci in una comunione più profonda in vista della nostra missione nel mondo. Mentre la Chiesa intraprende questo cammino sinodale, dobbiamo fare tutto il possibile per radicarci in esperienze di autentico ascolto e discernimento avviandoci a diventare la Chiesa che Dio ci chiama ad essere.
Qual è la finalità di questo Sinodo? Obiettivi del processo sinodale
La Chiesa riconosce che la sinodalità è parte integrante della sua stessa natura. Essere una Chiesa sinodale trova espressione nei Consigli ecumenici, nei Sinodi dei vescovi, nei Sinodi diocesani e nei Consigli diocesani e parrocchiali. Ci sono molti modi in cui sperimentiamo forme di “sinodalità” già adesso in tutta la Chiesa. Tuttavia, essere una Chiesa sinodale non è un’esigenza che si limita alle istituzioni esistenti. Infatti, la sinodalità non è tanto un evento o uno slogan quanto uno stile e un modo di essere con cui la Chiesa vive la sua missione nel mondo. La missione della Chiesa richiede che l’intero Popolo di Dio percorra un cammino insieme in cui ogni membro svolge il suo ruolo fondamentale, unito agli altri. Una Chiesa sinodale cammina in comunione per perseguire una missione comune attraverso la partecipazione di ciascuno dei suoi membri. L’obiettivo di questo processo sinodale non è di fornire un’esperienza temporanea o una tantum di sinodalità, quanto piuttosto di offrire un’opportunità all’intero Popolo di Dio di discernere insieme come andare avanti sulla strada che ci porta ad essere una Chiesa più sinodale sul lungo termine.
Uno dei frutti del Concilio Vaticano II è stata l’istituzione del Sinodo dei Vescovi. Mentre finora il Sinodo dei Vescovi si è svolto come un’assemblea di vescovi con e sotto l’autorità del Papa, la Chiesa si rende sempre più conto che la sinodalità è un cammino per tutto il Popolo di Dio. Quindi il processo sinodale non è più soltanto un’assemblea di vescovi ma un cammino per tutti i fedeli, in cui ogni Chiesa locale ha una parte essenziale da svolgere. Il Concilio Vaticano II ha rafforzato la consapevolezza che tutti i battezzati, sia la gerarchia che i laici, sono chiamati a partecipare attivamente alla missione salvifica della Chiesa (LG 32-33). I fedeli hanno ricevuto lo Spirito Santo nel Battesimo e nella Confermazione e sono in possesso di diversi doni e carismi per il rinnovamento e l’edificazione della Chiesa, in quanto membri del Corpo di Cristo. Così l’autorità dottrinale del Papa e dei vescovi è in dialogo con il sensus fidelium, la voce viva del Popolo di Dio (cfr. Il Sensus Fidei nella vita della Chiesa, 74). Il cammino della sinodalità punta a prendere decisioni pastorali che riflettano il più possibile la volontà di Dio, fondandole sulla voce viva del Popolo di Dio (CTI, Syn. 68). Si noti che la collaborazione con i teologi -laici, ordinati e religiosi – può essere un utile supporto per articolare la voce del Popolo di Dio che esprime la realtà della fede sulla base dell’esperienza vissuta.
Mentre i Sinodi recenti hanno esaminato temi come la nuova evangelizzazione, la famiglia, i giovani, l’Amazzonia, il presente Sinodo si concentra sul tema specifico della sinodalità. L’attuale processo sinodale che stiamo intraprendendo è guidato da una domanda fondamentale: Come avviene oggi questo “camminare insieme” a diversi livelli (da quello locale a quello universale), permettendo alla Chiesa di annunciare il Vangelo? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale? (PD, 2)
In questa luce, l’obiettivo dell’attuale Sinodo è di ascoltare, insieme all’intero Popolo di Dio, ciò che lo Spirito Santo sta dicendo alla Chiesa. Lo facciamo ascoltando insieme la Parola di Dio nella Scrittura e la Tradizione vivente della Chiesa, e poi ascoltandoci l’un l’altro, specialmente coloro che si trovano ai margini, discernendo i segni dei tempi. In effetti, l’intero processo sinodale mira a promuovere un’esperienza vissuta di discernimento, partecipazione e corresponsabilità, dove abbiamo la possibilità di raccogliere insieme una diversità di doni in vista della missione della Chiesa nel mondo.
In questo senso, è chiaro che lo scopo di questo Sinodo non è di produrre altri documenti. Piuttosto, intende ispirare le persone a sognare la Chiesa che siamo chiamati a essere, a far fiorire le speranze, a stimolare la fiducia, a fasciare le ferite, a tessere relazioni nuove e più profonde, a imparare gli uni dagli altri, a costruire ponti, a illuminare le menti, a riscaldare i cuori e a rinvigorire le nostre mani per la nostra missione comune (DP 32). Questo significa che l’obiettivo di questo processo sinodale non è una semplice serie di esercizi che iniziano e finiscono, quanto piuttosto un cammino di crescita autentica verso la comunione e la missione che Dio chiama la Chiesa a realizzare nel terzo millennio.
Questo cammino percorso insieme ci chiamerà a rinnovare le nostre mentalità e le nostre strutture ecclesiali per vivere la chiamata di Dio per la Chiesa in mezzo agli attuali segni dei tempi. Ascoltare l’intero Popolo di Dio aiuterà la Chiesa a prendere decisioni pastorali che corrispondano il più possibile alla volontà di Dio (CTI, Syn. 68). La prospettiva ultima per orientare questo cammino sinodale della Chiesa consiste nell’essere al servizio del dialogo di Dio con l’umanità (DV 2) e percorrere insieme la via per il Regno di Dio (cfr. LG 9; RM 20). In sintesi, questo processo sinodale mira a muoversi verso una Chiesa che sia più fruttuosamente al servizio della venuta del Regno dei Cieli.
Sinodo e Sinodalità, intervista[1]
Dario VITALI,
C’è un luogo comune molto diffuso secondo cui la Chiesa è molto gerarchica. Con questo Sinodo che inizia nelle parrocchie di tutto il mondo si cerca di eliminare questa idea?
Non si tratta tanto di cancellare un luogo comune, quanto di capire che si crea una circolarità. C’è qualcuno che sostiene che il Sinodo è un cammino che apre la Chiesa alla democrazia. Non è così. La Chiesa è gerarchica ma anche sinodale. Non c’è contraddizione.
È quanto lei afferma spesso, che sinodalità non è contrario di gerarchia.
Esatto. C’è molta gente che lo pensa perché dalla riforma gregoriana la Chiesa piramidale è basata sul principio della gerarchia. Per secoli Papi e vescovi sono stati i soggetti attivi nella Chiesa, tutti gli altri erano passivi. Si parlava di prelati e sudditi, di chi stava sopra e chi sotto, che doveva tacere ed eseguire ordini. È chiaro che quando uno cambia questi concetti e li centra sull’uguaglianza, sul fatto che tutti siamo figli di Dio, emerge il principio di uguaglianza rispetto a quello di differenza. La gerarchia risponde al principio di differenza ma la Chiesa, per fortuna, non è una uguaglianza uniforme. Abbiamo differenze di funzioni, di vocazioni o di ministeri.
E ciò non è contrario all’uguaglianza?
No. Contare su funzioni diverse in una struttura non comporta dimenticare l’identità battesimale a partire dal dono dello Spirito. Questo significa ricordare che tutti abbiamo ricevuto il dono dello Spirito.
Quello che lei definisce come “piantare l’ecclesiologia del Popolo di Dio di fronte a una struttura piramidale”?
Giusto. Ci sono persone che sono leader ma siamo tutti uguali per poter esprimere quello che pensiamo. Nel Concilio Vaticano II si verificò quella che gli ecclesiologi definiscono “svolta copernicana”, un’autentica rivoluzione. Prima di parlare delle differenze si parla dell’uguaglianza. Della uguale dignità di tutti. Non c’è titolo più grande nella Chiesa che essere figlio di Dio, e se siamo tutti figli allora siamo tutti fratelli. E se siamo fratelli, la prima conseguenza è entrare in relazione, la seconda che dobbiamo ascoltarci, e poi desiderare il bene comune della casa, della Chiesa, e camminare insieme alla ricerca del bene comune. Tutto questo appartiene all’idea di una sinodalità che è l’ascolto dello Spirito ascoltandoci.
Qualcuno potrebbe dire che lo Spirito non parla…
No, certo. Lo Spirito parla attraverso di me, di te, di tutti. Per questo bisogna educarsi alla sinodalità.
Ha affermato che la Chiesa non è una democrazia ma una comunione. Ce lo spiega?
In democrazia la gente esprime opinioni e può esprimerle mediante una consultazione e quando chiede qualcosa ha i rappresentanti. Nella Chiesa non ci sono rappresentanti, c’è un principio di unità che si chiama vescovo che unisce un popolo di un determinato luogo. Questa unità fa sì che non ci sia una somma di persone, senza faccia e che sono solo un numero. È un popolo, un soggetto attivo che si riunisce nella celebrazione eucaristica. Ciò è molto diverso dalla democrazia. In democrazia c’è contrapposizione. Nel Popolo di Dio c’è consenso che si forma, come si indica nel documento preparatorio, con la “conspiratio”, che non va confusa con la cospirazione in senso negativo. In quel senso è pericolosa, mentre qui significa che lo Spirito determina l’intesa all’interno di quanti camminano. Il primo atto della Chiesa è ascoltare. La sinodalità non è diritto a parlare ma dovere di ascoltare, e di ascoltarsi.
È proprio la prima fase diocesana di questo Sinodo.
Esatto. In primo luogo si ascolta il Popolo di Dio. Poi c’è il discernimento dei pastori, in assemblea. Questo è straordinario, cambia tutto il modo di essere della Chiesa.
La sinodalità dovrebbe cominciare nella quotidianità delle parrocchie?
È molto importante. Il vescovo è il principio di unità di una Chiesa. È evidente che una Chiesa particolare non è dov’è la curia, ma dov’è il Popolo di Dio. E se sta nelle parrocchie, è qui dove dobbiamo andare ad ascoltare. Se sta per strada, dobbiamo stare in strada. Dobbiamo inventare, scoprire o recuperare tutti i mezzi possibili per poter trovare e ascoltare la gente.
Pensa che la Chiesa sia disposta ad ascoltare chi la pensa in maniera diversa?
La sinodalità e il Sinodo sono un’opportunità per maturare in questo senso e per scoprire la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa. C’è chi ascolta, accoglie e camminerà in questo senso. E c’è chi contesta e dice che questa è una tentazione e uno strumento del diavolo per distruggere la verità della Chiesa. Se la Chiesa è costitutivamente gerarchica e costitutivamente sinodale, è questo il cammino, non c’è dubbio. Ci saranno chiese che cominceranno la fase sinodale d’ascolto e altre no, vescovi che inizieranno questa fase e altri no.
Lei parla di strettoie della sinodalità, ostacoli che impediscono il cammino.
Sì, ce ne sono cinque. Il primo ostacolo è il Papa. Se il Papa non vuole il Sinodo, non si fa. Il secondo è il vescovo. Se il vescovo non vuole non si fa. Succede per esempio con il vescovo del Liechtenstein, che dice che non parteciperà. Mancherà l’armonia di quella Chiesa, quella voce. Il terzo, sono i sacerdoti. Se si oppongono, non aiutano. Molti giovani sacerdoti non desiderano l’uguaglianza ma il potere. Il quarto, i cristiani di sagrestia, più clericali dei preti. E il quinto sono i ben informati, quelli che parlano di sinodalità senza sapere cosa sia. Tra questi, molte volte ci sono i giornalisti.
Noi? Su, le abbiamo già prese…
Solo un po’ (ride). Un esempio. Alla conferenza stampa per presentare il documento preparatorio del Sinodo il cardinale spiega a fondo, parla di spiritualità, ecc. Domanda: “Sarà questo il Sinodo in cui voteranno le donne?”… Si può condizionare il cammino sinodale cambiando le prospettive mediatiche, questo è evidente.
Ora mi mette lei la domanda su un piatto d’argento. Le donne voteranno in questo Sinodo?
Il cammino sinodale prevede uno sviluppo semplice. Nelle Chiese particolari possono esprimersi e parlare tutti. L’assemblea si concluderà con un documento finale basato sulle considerazioni delle chiese del Popolo di Dio. Mi piacerebbe che la Chiesa potesse essere come il Gps di un’automobile. Qual è la parola più abituale di un navigatore? Ricalcolo. Una Chiesa sinodale è una Chiesa capace di ricalcolare il suo percorso.
UNA CHIESA DI POPOLO:
IL SENSUS FIDEI COME PRINCIPIO NELL’EVANGELIZZAZIONE[2]
Dario VITALI
L’elezione del card. Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio ha por- tato un vento nuovo nella chiesa. Molto si è detto sui suoi gesti, che spesso rompono con protocolli e formalità consolidate da secoli; meno sulle sue parole. Non che sia passata inosservata la sua comunicazione diretta, sia quando usa i toni caldi dell’esortazione che i toni duri della reprimenda; né è mancato chi abbia sottolineato il suo linguaggio immaginifico, il gusto per gli esempi, la sua predicazione breve e incisiva. Più in profondità, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che disegna il programma del suo pontificato, offre l’opportunità di andare oltre questo livello di comunicazione e di incontrare il mondo concettuale di papa Francesco. Quali sono i termini che tornano più frequentemente nell’esortazione? Quali idee costituiscono l’orditura del testo? Quale direzione propone alla chiesa la sua proposta di cammino ecclesiale? E, sul piano della riflessione teologica, quali domande pone il testo? Quali temi dottrinali emergono, interrogando la teologia?
Tra i tanti, uno di sicuro rilievo è quello relativo al sensus fidei. Si dirà che non poteva mancare, data l’insistenza di papa Francesco sul Po- polo di Dio. Ma proprio qui sta una delle novità più significative tanto dell’Evangelii gaudium che del suo pontificato: aver recuperato una categoria ecclesiologica che sembrava consegnata all’oblio dopo il Sinodo straordinario del 1985 sul Vaticano II. Per superare la polarizzazione ar tificiosa tra il modello di chiesa-Popolo di Dio a quello di chiesa-mi- stero, alimentato da una discussione estenuante sull’ecclesiologia del concilio, durata un ventennio, il Sinodo aveva assunto come modello di riferimento l’ecclesiologia di comunione. Da allora il tema del Po- polo di Dio era praticamente scomparso dal linguaggio ecclesiale – e
dalla letteratura ecclesiologica – fino alla ritrovata evidenza nel linguaggio di papa Francesco.
Il presente contributo intende analizzare il senso e la portata di questo cambio di rotta, a partire dalla sottolineatura data al sensus fidei nella esortazione apostolica. L’intento è quello di mostrare come la ripresa del tema permetta di riannodare i fili con un’ecclesiologia conciliare forse troppo frettolosamente “interpretata” e inquadrata nel contenitore dell’ecclesiologia di comunione. Un’attenta analisi di EG 119, che presenta una descrizione articolata del sensus fidei, è possibile situando il tema nel contesto più vasto del documento pontificio e con- frontandolo con il dettato conciliare e con la Tradizione. Da questo modo di procedere, si potrà verificare la peculiarità della proposta formulata nell’esortazione apostolica intorno al sensus fidei, nel quadro della missione evangelizzatrice della chiesa.
Il sensus fidei nella Evangelii gaudium
«In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza.
Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG 119).
Il paragrafo si trova nel capitolo III, dedicato a «l’annuncio del Vangelo»[3], nella sezione I, che chiarisce come «tutto il Popolo di Dio an- nuncia il Vangelo»[4]. L’affermazione lapidaria che apre la sezione è carica di implicazioni e conseguenze: «L’evangelizzazione è compito della chiesa» (n. 111). Ma cosa si intende per chiesa? Per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, subito il testo chiarisce che «questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di un’istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio» (ibid.). La dimensione istituzionale, per quanto utile e necessaria, non esaurisce la vita della chiesa, che si attua nella storia del «popolo pellegrino ed evangelizzatore» (ibid.). Su questo modo di intendere la chiesa il papa sente il bisogno di soffermarsi, evidentemente perché tale concezione, per quanto espressamente affermata al Vaticano II, non ha trovato la dovuta recezione nella riflessione teologica e nella prassi ecclesiale dopo il concilio. La tematica è articolata in cinque passaggi, che disegnano un preciso itinerario espositivo.
Il primo passaggio[5] orienta subito nella direzione del Popolo di Dio inviato ad evangelizzare; popolo che è costituito dall’iniziativa gratuita di Dio, il quale, mediante il dono dello Spirito, rende l’uomo ca- pace di rispondere al suo amore. È affermato qui «il principio del primato della grazia» come sorgente e criterio di ogni riflessione sul- l’evangelizzazione. Va intesa in questa ottica la frase secondo cui «la chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio» (n. 112). Il testo, che per la comprensione della frase rimanda a LG 1[6], insiste piuttosto sul secondo aspetto della sacramentalità della chiesa, in quanto «essa, mediante la sua azione evangelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera incessantemente» (ibid.). Se la chiesa è il soggetto che annuncia la salvezza compiuta da Dio, i destinatari sono tutti gli uomini, i quali non giungono alla salvezza da soli, ma comunitariamente, perché Dio stesso «ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati» (n. 113).
«Questo popolo che Dio si è scelto e ha convocato è la chiesa» (ibid.).
Dalla grazia di essere chiesa come popolo convocato da Dio discende il compito di «essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità» (n. 114):
«La chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (ibid.).
Il secondo passaggio del capitolo spiega che la chiesa è «un popolo dai mille volti»[7], perché «s’incarna nei popoli della terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura» (n. 115). Poiché «l’essere umano è sempre culturalmente situato» (ibid.), «la grazia suppone la cultura, e il dono di Dio s’incarna nella cultura di chi lo riceve» (ibid.). Questo significa che
«il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale», perché
«nelle espressioni cristiane di un popolo evangelizzato lo Spirito santo abbellisce la chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e re galandole un nuovo volto» (n. 116). Si tratta di quel processo fecondo dell’inculturazione, in cui lo Spirito santo «costruisce la comunione e l’armonia del Popolo di Dio», «suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità, ma multiforme armonia che attrae» (n. 117). D’altronde, per il principio dell’Incarnazione, il cristianesimo non può essere «monoculturale e monocorde» (n. 117), perché «una sola cultura non esaurisce il mi- stero della redenzione di Cristo» (n. 118), ragione per cui la chiesa non può e non deve, «insieme alla proposta evangelica, imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica» (n. 117).
Nel terzo passaggio del capitolo, aperto dal paragrafo sul sensus fidei, l’accento è posto sul fatto che «tutti siamo discepoli missionari»[8]. Una volta descritta l’infallibilità in credendo del Popolo di Dio, il testo passa a spiegare che, «in virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è divenuto discepolo missionario» (n. 120). Il testo, rimandando a Mt 28,19 – «Andate e fate mie discepole tutte le nazioni» –, manifesta il convincimento che ogni cristiano, in forza dell’esperienza personale dell’amore di Dio, è «soggetto attivo di evangelizzazione». Torna qui il binomio inscindibile «discepoli-missionari», che è la trave portante dell’intera esortazione[9]: i due termini, come le due facce di una sola moneta, descrivono l’identità cristiana a partire dall’esperienza di Cristo che si trasforma in gioia di annunciarlo ai fratelli: così è stato per i primi discepoli, così dev’essere per i cristiani di tutti i tempi. La formazione, la crescita sono momenti ulteriori rispetto a un impegno di evangelizzazione che deve coinvolgere i credenti da subito.
Dalla dimensione individuale il testo accede, nel passaggio successivo[10], a quella collettiva: «i diversi popoli nei quali è stato inculturato il Vangelo sono soggetti collettivi attivi, operatori dell’evangelizzazione» (n. 122). Il vettore privilegiato di tale forma di evangelizzazione è la pietà popolare, che si rivela come «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito santo è il protagonista» (ibid.). In essa avviene e si rende manifesto in modo tale il processo di inculturazione del Van- gelo, che si può parlare di «spiritualità o mistica popolare», in quanto
«spiritualità incarnata nella cultura dei semplici», (n. 124)[11]. L’atteggia- mento nei suoi confronti dev’essere di comprensione e non di giudizio, per «apprezzare la vita teologale presente nella vita dei popoli, special- mente nei poveri» (n. 125). D’altronde, quello dei poveri è un vero e proprio luogo teologico, a cui prestare la dovuta attenzione: «nella pietà popolare, in quanto frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice, che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito santo» (n. 126). Su queste basi il testo illustra, negli ulteriori passaggi[12], come sia possibile il rinnova- mento missionario della chiesa a partire da quella «forma di predica- zione che compete a tutti come impegno quotidiano» (n. 127).
Conclusione[13]
Con questo è anche delineata la sfida che la Evangelii gaudium lancia alla chiesa tutta e a tutte le Chiese: incarnare il Vangelo nella storia, sotto l’azione dello Spirito. Questo avviene quando «tutto il Popolo santo, unito ai suoi pastori, aderendo al sacro deposito della Parola di Dio affidato alla chiesa, persevera costantemente nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere, in modo che nel ritenere, praticare e professare la fede tra- smessa, si crei un singolare consenso tra i vescovi e i fedeli» (DV 10). Perché questo avvenga, dovrebbero esserci nella chiesa «luoghi» e occasioni in cui il Popolo di Dio possa dare voce alla sua fede, dal momento che «quando crede non si sbaglia, anche se non trova le parole per esprimere la sua fede» (EG 119). Luoghi non necessariamente istituzionali, ma creati dal dinamismo delle relazioni ecclesiali, dove risulta operante quella «singularis Antistitum et fidelium conspiratio» attraverso la quale «lo Spirito santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, in- troduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la Parola di Dio» (DV 8).
[1] Cf https://www.catalunyareligio.cat/it/dario-vitali-sinodalita-non-diritto-parlare-ma: intervista a don Dario Vitali professore della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana e consultore della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi.
[2] D. Vitali, Una chiesa di popolo: il sensus fidei come principio nell’evangelizzazione: H. M. Yáñez sj, cur., Evangelii gaudium: il testo ci interroga Chiavi di lettura, testimonianze e prospettive, Roma 2014, pp. 53-61.
[3] EG 110-174.
[4] EG 111-134.
[5] EG 112-114: «Un popolo per tutti».
[6] «La chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano».
[7] EG 115-118: «Un popolo dai mille volti».
[8] EG 119-121: «Tutti siamo discepoli missionari».
[9] Il rimando al Documento finale di Aparecida è evidente ed esplicito. Va qui rammentato il ruolo decisivo dell’allora card. Bergoglio alla realizzazione della V Conferenza generale dell’E- piscopato latinoamericano e del Caribe, celebrato nel 2007 nel santuario di Aparecida, in Brasile.
[10] EG 122-126: «La forza evangelizzatrice della pietà popolare».
[11] L’esortazione cita qui diffusamente il Documento finale della Va Conferenza Generale del- l’Episcopato latinoamericano (Aparecida, 2007): cfr Documento Finale, n. 263
[12] «Da persona a persona» (nn. 127-129); «Carismi a servizio della comunione evangelizza- trice» (nn. 130-134); «Cultura, pensiero ed educazione» (nn. 132-134).
[13] D. Vitali, Una chiesa di popolo: il sensus fidei come principio nell’evangelizzazione: H. M. Yáñez sj, cur., Evangelii gaudium: il testo ci interroga Chiavi di lettura, testimonianze e prospettive, Roma 2014, p. 61.