GUBBIO (7 agosto 2008) – Nessun “caso” intorno al Monastero del Buon Gesù e di Nostra Signora di Guadalupe delle cappuccine sacramentarie di Gubbio. In attesa del rientro del vescovo, monsignor Mario Ceccobelli, dal viaggio in America Latina per la visita ai sacerdoti diocesani che operano in terra di missione, la Curia eugubina interviene per precisare che eventi come quelli narrati dai giornali in questi giorni sono normali decisioni relative al cammino di fede e di vocazione delle singole persone.
Quello del noviziato è un periodo di verifica della vocazione, di discernimento della volontà di Dio per decidere come orientare la propria vita. Un cammino che tutti i candidati alla vita presbiterale e consacrata – sacerdoti, religiosi e religiose, ma anche i laici chiamati alla vita matrimoniale, ad esempio – sono chiamati a compiere per misurare consapevolmente la qualità e le motivazioni profonde della propria vocazione e sensibilità.
I superiori – direttori di seminari o responsabili delle comunità religiose – durante il cammino sono chiamati a indirizzare e seguire attentamente il discernimento dei singoli e, infine, a giudicare la predisposizione o meno alla consacrazione e alla vita religiosa.
Una prassi normale, anzi abituale – precisano dalla Curia eugubina – nei seminari, nei conventi e nei monasteri. E assai delicata specie in realtà come quella di un monastero di clausura.
Il fatto che una madre badessa, come Madre Pace del Monastero delle cappuccine sacramentarie di Gubbio, abbia ritenuto le due novizie non adatte alla vita claustrale non può rappresentare un “caso” giornalistico, ma dovrebbe essere considerato solo per ciò che riguarda il normale cammino di discernimento vocazionale, che a volte porta alla prosecuzione di una scelta di fede nella vita consacrata e in altri casi può portare verso altre strade.
La decisione dell’abbadessa del monastero eugubino, per altro, è stata avvallata anche dalla Congregazione per la vita consacrata, che ha studiato attentamente il caso. Le due novizie, infatti, avevano fatto ricorso presso il “dicastero” del Vaticano contro l’indicazione di non poter accedere alla vita religiosa dopo il periodo di discernimento.
La Congregazione per mesi ha valutato la situazione, inviando persino una commissaria presso il Monastero delle cappuccine sacramentarie, e alla fine ha confermato la correttezza sia formale che sostanziale della decisione di Madre Pace.
Il caso specifico dimostra e testimonia, semmai, che nella Chiesa le vocazioni alla vita consacrata non vengono “coltivate” per forza e ad ogni costo, ma “sbocciano” solo quando sono profonde e radicate nell’animo della persona umana.