Al termine di questo giorno santo, tradizionalmente consacrato alla memoria della passione e morte del Signore, la situazione difficile che stiamo vivendo nel mondo ci ha impedito di uscire processionalmente in preghiera, per le antiche vie di Gubbio, dietro la statua di Gesù morto e deposto dalla croce.
Questo gesto devoto e intimo, di un popolo che esce dalle proprie case e dalle chiese per riunirsi, che cammina silente e orante, che innalza canti e lamentazioni, che rischiara le tenebre della notte con la fioca luce del fuoco, attraversando le strade della vita di ogni giorno, non è un corteo funebre. Non accompagna un morto al sepolcro. Non celebra la vittoria incondizionata della morte sulla vita.
È piuttosto un corteo trionfante, di una Chiesa che si stringe con affetto al corpo martoriato dal male del suo Signore. Quel corpo che Dio ha voluto per incontrarci e ascoltarci, per toccarci e guarirci, per donarsi a noi e nutrirci di sé. Un corpo come il nostro, che da allora abbiamo in Gesù crocifisso un custode buono e un protettore potente. Ogni male che ci minaccia, che ci inganna, che ci sfigura trova nel corpo di Cristo trafitto il suo limite, la sua fine, e dunque la nostra salvezza. “Dalle sue piaghe siamo stati guariti” (Is. 53,5).
Se non possiamo onorarlo con la nostra presenza stasera, gli renda onore tutta la nostra vita. Con il rispetto profondo per ogni uomo, senza distinzione alcuna, specialmente verso chi più soffre. Con scelte di bene decise e luminose che ci dichiarino con forza contro ogni forma di male. Con una volontà di comunione e di collaborazione per una migliore coabitazione in questa nostra casa comune.
Se stasera non condividiamo unanime la preghiera, diventino preghiera i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i gesti e le azioni semplici di ogni momento. Sia come una lode di ringraziamento il nostro usare le cose, il prendere il cibo, il conservare l’ambiente. Siano come un’intercessione i nostri atti di bene, le attenzioni ai piccoli e ai fragili, i gesti dell’affetto. Siano come un atto di adorazione e un’umile richiesta di perdono le nostre parole del mattino e della sera.
Se non sarà il nostro canto, e quello del Miserere, a coinvolgerci stasera nella sorprendente passione di Dio per l’umanità, si innalzi nei giorni dal cuore di questo popolo il canto della solidarietà e della condivisione con i più bisognosi. Viaggino lontano le note che raccontano di noi i segni concreti della premura verso chi è appesantito dalla vita. Diventino familiari le parole e i versi che disegnano tra noi un comune senso del dovere e della responsabilità.
La statua del Cristo morto è tradizionalmente seguita da quella della Madonna addolorata, che riassume in sé tutto il dolore e il male che si è abbattuto sul Giusto innocente, e la triste consapevolezza che il patire del Figlio di Dio, accolto per amore e con obbedienza al Padre, è il sacrificio che salva noi che lo meritavamo per i nostri peccati.
Ci aiuti Maria a sentire quale grande tribolazione ha vissuto suo figlio per ciascuno di noi, per difenderci dal male, per combattere il nostro peccato, per sopravvivere alla morte. La Madre dolcissima che Gesù ci ha donato dalla croce, la discepola fedele che non ha temuto di rimanere fino alla fine, l’apostola credente che non ha dubitato della sua vittoria sulla morte, lei, e solo lei ci accompagni in quell’autentica e quotidiana processione che è il cammino della nostra vita. Amen.
Luciano, vescovo