COSTACCIARO (11 luglio 2010) – Nella grotta di monte Cucco un appuntamento speciale per speleologi, fedeli e amanti della montagna. Per la festa di san Benedetto, stamattina, nella spettacolare cavità sotterranea della sala Cattedrale, è stata celebrata la santa messa dal vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, insieme all’emerito mons. Pietro Bottaccioli e a don Mirko Orsini.
A risuonare nel ventre della montagna, le suggestive musiche del maestro Massimo Bartoletti, interpretate dal coro femminile di Costacciaro e dal musicista Umberto Ugoberti, con il suo organo portativo. Soltanto un centinaio i fortunati che hanno potuto vivere quest’originale esperienza tra natura e fede, per non turbare il delicato ambiente delle grotte. Nel pomeriggio odierno, però, un maxi-schermo a Pian delle Macinare a permesso ad altri fedeli di seguire la celebrazione in differita.
L’evento, nato da un’idea del Vescovo di Gubbio, è stato organizzato dal Comune di Costacciaro, in collaborazione con Comunità montana Alta Umbria, Parco del monte Cucco, Università degli Uomini originari di Costacciaro, parrocchia di San Marco Evangelista e Chiesa eugubina.
La volontà è quella di creare un evento fisso, che si ripeta annualmente nel giorno dedicato a san Benedetto da Norcia, proclamato protettore degli speleologi da Papa Paolo VI nel 1968. Stamattina non è voluto mancare nemmeno il vescovo emerito di Gubbio, mons. Pietro Bottaccioli, che era solito scendere in grotta insieme ai gruppi giovanili delle sue parrocchie. “La prima volta che sono sceso – ha confidato Bottaccioli – avevo appena 11 anni; si tratta di ben 71 anni fa, era il 1939. Da allora sono venuto tantissime volte e oggi non volevo proprio mancare”.
Ecco il testo integrale dell’omelia pronunciata in grotta da mons. Mario Ceccobelli:
“Carissimi, non conosco l’origine della denominazione così evocativa di questa sala, né chi ne è l’autore, ma certamente questo solenne spazio sotterraneo, celato in grembo alla terra, ci colma di stupore e di silenzio.
È questa una cattedrale non costruita da mano d’uomo, ma scavata nel corso di millenni dagli elementi naturali e tra questi, certamente da protagonista l’acqua, che genera, alimenta, trasforma: anche le concrezioni calcaree che possono assumere nell’oscurità forme meravigliose.
In questo luogo, carico di suggestioni, è stata convocata un’assemblea liturgica nel giorno della festa di un figlio illustre della nostra terra umbra, Benedetto da Norcia, proclamato protettore degli Speleologi da papa Paolo VI nel 1968.
Per noi vescovi di Gubbio, l’emerito Pietro e Mario, celebrare questa santa Messa è motivo di grande emozione, e per questo sono molto grato al sindaco di Costacciaro e a tutti coloro che hanno collaborato per aver reso possibile questo evento.
Per la prima volta, in questa straordinaria cattedrale, risuonano le parole del santo Vangelo.
Anche tra queste bellezze nascoste e preziose Gesù, maestro e Signore, ci indica la strada per raggiungere la vita senza fine.
Il brano ora proclamato si apre con un colloquio, quasi una disputa accademica, tra un dottore, un esperto della legge giudaica, e Gesù, il giovane maestro di Nazareth, diventato famoso per il suo insegnamento non solo autorevole, ma anche accompagnato da segni prodigiosi.
«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10,25).
Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?» (Lc 10,26).
Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».
Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai» (Lc 10, 27ss). I due maestri sono d’accordo nell’indicare il comandamento dell’amore come il più importante di tutta la legge e decisivo per la vita eterna.
Ma per non lasciare l’insegnamento a livello di accademia, Gesù racconta una storia per indicare come l’amore per il prossimo debba essere concreto negli atti e non soltanto proclamato con le parole.
La scena narrata dal Vangelo si svolge lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Un viandante è assalito dai briganti, malmenato, derubato e lasciato mezzo morto lungo la strada. Sopraggiungono due personaggi addetti al servizio del tempio di Gerusalemme, lo vedono e si tengono a distanza.
Passa un samaritano, un abitante della regione notoriamente ostile alla Giudea, che “lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno” (Lc 10,33ss).
Questo è l’amore, questi sono i segni di chi ama: vedere il fratello che soffre e averne compassione, farsene carico e accompagnarlo fino alla salvezza.
Questo è l’insegnamento di Gesù, che si conclude con l’invito ad imitare il buon samaritano: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37).
Il racconto è metafora di personaggi reali e della vita umana. Il buon samaritano è infatti Gesù, venuto per soccorrere l’uomo pellegrino sulla terra, continuamente assalito dai briganti, ovvero dai suoi peccati, e spogliato della sua dignità dai suoi vizi e dalla sua naturale fragilità.
Ma il buon samaritano è anche ogni vero seguace di Gesù, che ne imita le azioni e l’insegnamento, che conosce il rispetto e la comprensione, che mette in pratica l’amore per i fratelli senza pregiudizi di razza o di stato sociale.
Significativo a questo riguardo è lo spazio riservato da Gesù a personaggi samaritani: la donna del pozzo di Sichem e il samaritano compassionevole: figure emblematiche dissimili tra loro e con connotazioni diverse da quelle di genti confinanti, ma ambedue destinate, come tutti gli altri uomini, alla vita eterna.
Gesù ci ha così svelato la dignità di ogni uomo e la grandezza del suo destino, e con la sua morte e risurrezione ha aperto a tutti il passaggio verso il regno dei cieli.
L’apostolo Paolo, nella lettera agli abitanti di Colossi, che abbiamo appena ascoltato, ricorda anche a noi: “Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose… per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1,18-20).
Oggi noi viviamo un momento colmo di significati simbolici.
Siamo saliti sulla montagna, cammino di purificazione che compiva anche Gesù quando sembrava voler avvicinare la terra al cielo per entrare in intimità con il Padre.
Poi siamo entrati qui, un po’ più vicini al cuore della terra, in questo nascondimento che è figura del segreto del nostro cuore, dove, nel raccoglimento, possiamo scoprire tesori insospettati.
Anche gli antichi monaci, nel silenzio e nell’ombra delle cripte, si concentravano nella preghiera e nella meditazione per rinascere nel seno di Dio.
E nell’oscurità del sepolcro è germinato per Gesù Cristo il prodigio luminoso della resurrezione, che, nel mistero, germinerà anche per noi.
+ Mario Ceccobelli