Mons. Bassetti al solenne pontificale: “Ubaldo, vescovo e padre della patria”

 

GUBBIO (16 maggio 2011) – Si è rinnovato anche oggi l’omaggio solenne e sincero degli eugubini al loro patrono e protettore, sant’Ubaldo. Dopo l’emozionante Festa dei Ceri di ieri, la statua del Santo vescovo è stata riportata in processione dalla Chiesa dei Neri fino alla Cattedrale, che ha ospitato la celebrazione del pontificale, presieduta dall’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Gualtiero Bassetti, e celebrata insieme al vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, e al vescovo emerito, mons. Pietro Bottaccioli, che quest’anno – proprio oggi – celebra il 22esimo anniversario dalla sua consacrazione episcopale.

IL SALUTO DI MONS. CECCOBELLI AL METROPOLITA

Un Benvenuto tutto particolare – ha detto mons. Ceccobelli nel suo saluto iniziale – al nostro carissimo metropolita, l’arcivescovo Gualtiero Bassetti, che la nostra comunità diocesana accoglie con esultanza e gioia nel giorno della festa del vescovo Ubaldo, di cui sono il 59esimo successore.

Un giorno speciale questo, perché conclude uno straordinario anno giubilare indetto per ricordare l’850esimo anniversario della morte del nostro Patrono avvenuta il 16 maggio 1160. Da quella data Ubaldo non ha avuto rivali nel cuore dei suoi concittadini!

Ieri il popolo eugubino, come fa con modalità diverse dal 1160, ha manifestato la sua venerazione e il suo amore a Ubaldo, portando «ilariter et gaudenter» i Ceri davanti alle sue sacre spoglie sul monte Ingino, con irrefrenabile e devota gioia.

Un anno giubilare ricordato con avvenimenti che hanno coinvolto tutta la comunità eugubina e diocesana e che si conclude oggi con questo solenne pontificale e con la celebrazione del vescovo Pietro, alle ore 17, e nel 22esimo anniversario della sua ordinazione episcopale, nella basilica del Santo.

Oggi per la prima volta l’arcivescovo Gualtiero, vice presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), oltre che arcivescovo metropolita, fa il suo ingresso in questa Chiesa diocesana che, come sede suffraganea di Perugia, rientra tra le sue cure pastorali.

Grazie, cara eccellenza, per il dono della sua presenza, segno di un’amicizia e di una fraternità che ci conforta e ci infonde coraggio nel portare avanti il compito di annunciare il Vangelo di Gesù, la Buona Notizia, in un mondo così povero di buone notizie e sempre più chiuso e prigioniero delle proprie paure.

L’OMELIA DI MONS. BASSETTI IN CATTEDRALE

Carissimo vescovo Mario, grazie per l’invito che mi hai rivolto a presiedere questa solenne eucaristia, un affettuoso saluto al vescovo emerito Pietro, amico di lunga data. Distinte autorità, carissimi fratelli e sorelle nella fede in Cristo, tutta la città di Gubbio in questi giorni è in festa per la corsa dei Ceri e per il ricordo del “beato Ubaldo”, vescovo e pater patriae. Uno dei santi più emblematici della nostra cara terra umbra, conosciuto ormai in tutto il mondo.

Ubaldo Baldassini nacque, con molta probabilità, intorno all’anno 1085 da nobile famiglia. Rimasto ben presto orfano, ricevette la sua prima educazione nella canonica di San Secondo, poi in quella di San Mariano, quindi fu a stretto contatto con il santo vescovo Giovanni da Lodi. Non soddisfatto della condotta di vita tenuta dai canonici di San Mariano, si recò a Ravenna per conoscere la Regola della comunità di Santa Maria in Porto, voluta dal priore Pietro degli Onesti. Tornato a Gubbio cercò di riformare, con scarsi risultati, la canonica di San Mariano, quando una delegazione del clero e del popolo di Perugia giunse a richiederlo come vescovo della città. Ma Ubaldo convinse il Papa Onorio II a non procedere alla nomina. Nel 1129, alla morte del vescovo Stefano, fu eletto vescovo di Gubbio. Da quel momento Ubaldo divenne il punto di riferimento per la vita religiosa e sociale della città.

Da pastore del popolo eugubino, continuò a condurre una vita semplice e lontana dallo sfarzo, era modesto in tutte le cose e non facilitò i suoi parenti con cariche e vantaggi. Perdonò sempre i torti subiti. Si prodigò senza posa per aiutare il popolo durante l’assedio portato a Gubbio da undici città rivali e trattò personalmente con Federico Barbarossa per evitare che la città fosse distrutta dalle sue truppe. Ammalatosi gravemente, morì il 16 maggio 1160, compianto da tutto il popolo e da tutti ritenuto santo. Da allora chi dice Gubbio, dice Ubaldo.

La vita del Santo divenne un tutt’uno con la vita della città. Egli fu elevato a simbolo e a difensore della patria. Sotto la sua protezione si rifugiarono gli eugubini in ogni calamità. Dice un vecchio inno: “Se desideri il benessere della tua città, o nobile popolo di Gubbio, invoca sempre il vescovo Ubaldo e pregalo perché ti protegga”. Come i sommi sacerdoti dell’antico popolo di Israele, anche Ubaldo “nella sua vita riparò il tempio. Premuroso di impedire la caduta del suo popolo, fortificò la città contro un assedio. Come era stupendo quando indossava i paramenti solenni! Egli compiva il rito liturgico sugli altari, preparando l’offerta all’Altissimo onnipotente. Scendendo dall’altare, alzava le mani su tutta l’assemblea per dare la benedizione del Signore”, come abbiamo letto nel libro del Siracide.

Nella vita del beato Ubaldo, la missione sacerdotale si intreccia con quella di guida e difensore del popolo. Questa è una costante nella storia della Chiesa. Fin dai primi secoli, con la crisi dell’Impero Romano, i vescovi dovettero farsi carico anche della necessità materiali del popolo. Essi assunsero l’autorità di difensori dei poveri e dei diseredati, proteggendoli dalle angherie dei prepotenti di turno. La figura del vescovo padre e guida della comunità si è protratta lungo i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni. Chi non ricorda infatti la forza e la bontà di un degno successore di sant’Ubaldo, il vescovo Beniamino Ubaldi, che guidò la comunità eugubina nei terribili mesi della guerra e dell’occupazione nazista. Egli si sentiva padre e difensore di tutti. E con insolito coraggio, all’indomani dell’uccisione di ufficiali tedeschi, si presentò al comandante nazista per offrirsi in cambio dei quaranta uomini eugubini arrestati e in procinto di essere fucilati. Ma il comandante dallo “sguardo truce” non acconsentì (cfr. Pietro Bottaccioli, La diocesi di Gubbio…, 2010, p.408). Così, restò in vita il corpo del vescovo, ma morì il suo cuore.

Il vescovo, come vero padre, sente il dovere di dare la vita per salvare quella dei figli. Come un padre avverte la responsabilità di dover guidare i suoi figli sulle vie del bene, sulle vie del Vangelo, come ci diceva ieri l’evangelista Giovanni, proponendoci la figura di Gesù Buon Pastore. Grande è la gioia quando percepisce di essere corrisposto dal suo popolo, così come avverte profondo dolore quando si sente abbandonato. Vescovo e popolo devono avere un cuor solo e un’anima sola, come tra padre e figli. Quando questo avviene la comunità cresce e si radica nella fede e nella carità, come bene esprime il Concilio: “Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi si comportino in mezzo ai loro fedeli come coloro che servono, come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti, come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e la cui autorità ricevuta da Dio incontra un’adesione unanime e riconoscente. Raccolgano intorno a sé l’intera famiglia del loro gregge e diano ad essa una tale formazione che tutti, consapevoli dei loro doveri, vivano ed operino in comunione di carità” (CD, 16).

Al suo tempo, il Signore scelse Ubaldo, e, come dice il libro del Siracide: “Gli diede autorità sul suo popolo. Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza; lo scelse fra tutti gli uomini” per essere strumento di riconciliazione. Ancor oggi noi vescovi, con la grazia che il Signore ci concede, abbiamo il dovere di “esporre la dottrina cristiana in modo consono alle necessità del tempo in cui viviamo: in un modo, cioè, che risponda alle difficoltà ed ai problemi dai quali sono assillati ed angustiati gli uomini d’oggi” (CD).

Ed il nostro tempo non è avaro nel proporci tanti problemi che devono essere non solo affrontati ma, per quanto possibile, risolti. Accenno ad alcuni che riguardano la nostra regione: la disoccupazione, sopratutto giovanile, molto alta; la diffusione della droga, anche stanotte hanno trovato un giovane morto in un campo per overdose; la situazione talvolta angosciante delle famiglie che si dividono, soprattutto quando ci sono bambini.

Ma con particolare attenzione dobbiamo guardare ai più poveri e ai più deboli, quelli che il Concilio chiama “ultimi”, memori che a questi siamo stati mandati dal Signore per annunziare il Vangelo di salvezza. Perché così è piaciuto a Dio Padre, “che ha tenuto nascoste queste ai sapienti e ai dotti, ma ha voluto rivelarle ai piccoli”.

Nel vivo ricordo di sant’Ubaldo, auguro a questa comunità cristiana di Gubbio di saper accogliere con disponibilità l’insegnamento evangelico, professando con sempre rinnovato slancio la fede, quella fede che il santo vescovo le ha consegnato.

Alla comunità civile di Gubbio auguro di vivere sempre nella concordia e nella giustizia, nella fedeltà alle radici cristiane, che hanno fatto nascere e sviluppare una civiltà e un ordine sociale grazie al quale la giustizia e la solidarietà sono considerate un dovere per tutti. Gubbio sia sempre fiera del patrimonio religioso trasmesso dai padri e riconosca in sant’Ubaldo “il lume della fede e il sostegno d’ogni cuore”. Per sua intercessione il Signore benedica questa terra eugubina e benedica la nostra cara Umbria.