Mons. Mario Ceccobelli sul Col di Lana parla di Ubaldo e Francesco “santi della riconciliazione”

 

COL DI LANA (5 agosto 2012) – Nelle giornate di ieri e oggi, un gruppo di eugubini ha raggiunto la vetta del Col di Lana, partendo da Livinallongo, percorrendo i luoghi e i sentieri che fecero da palcoscenico alle furiose battaglie della prima guerra mondiale.

Proprio nella mattinata di oggi sono previste una cerimonia civile e una celebrazione religiosa, accanto alla cappella (costruita nel 1935 e ristrutturata nel 2007) nel cratere scavato dalla nota “Mina del Col di Lana”, con la quale gli italiani riuscirono a conquistare la cima il 17 aprile 1916.

Con la cerimonia civile vengono commemorati tutti i caduti (italiani e austriaci) della Grande Guerra, mentre al termine della santa messa, celebrata dal vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, una piccola statua di sant’Ubaldo – “santo della Riconciliazione” – sarà collocata all’interno della cappellina.

Ecco il testo integrale dell’omelia di mons. Ceccobelli:

Con sentimenti di gioia e di forte emozione ho accettato l’invito ad accompagnare su questo colle la statua del patrono della città Gubbio, il santo vescovo Ubaldo di cui sono il 59° successore, e a celebrare la Messa in ricordo dei tanti giovani che su questo monte sono morti durante la prima guerra mondiale.

Tra di essi vi erano molti soldati umbri, facenti parte dei due reggimenti 51° e 52° della Brigata Alpi, che aveva sede a Perugia.

Questo che stiamo ammirando con commozione è lo scenario in cui per più di due anni si sono affrontati soldati italiani e austriaci in combattimenti cruenti e disumani.

Si calcola che oltre diecimila abbiano lasciato la loro giovane vita su questa terra diventata sacra per il sangue versato, tanto che il Col di Lana, dove ora ci ritroviamo e dove ci sentiamo uniti nel ricordo e nella preghiera, è stato chiamato anche Col di sangue.

Sono salito su questo monte insieme al vescovo emerito di Gubbio mons. Pietro Bottaccioli e a molti altri cittadini di Gubbio e di altre città dell’Umbria, per collocare nella cappella che ricorda il sacrificio di tanti uomini la statua di sant’Ubaldo, definito da Papa Giovanni Paolo II il santo della riconciliazione.

Fu lui, Ubaldo, a fermare l’esercito di Federico Barbarossa, che nel 1155 aveva posto l’accampamento alle porte della città di Gubbio e minacciava di distruggerla, come aveva fatto qualche tempo prima con la città di Spoleto.

Il vescovo Ubaldo, già vecchio e malato, soltanto armato della croce di Cristo, gli andò incontro e lo rese mite, come farà qualche decennio più tardi San Francesco di Assisi con il lupo di Gubbio.

Quest’ultimo episodio di conciliazione tra il Santo e il lupo, avvenuto grazie alla comprensione delle necessità altrui e all’amore per le creature, ha ispirato l’idea di ripercorrere nei primi tre giorni di settembre di ogni anno il cammino che fece Francesco per recarsi da Assisi a Gubbio: un cammino, per i nuovi pellegrini, non solo materiale, ma anche spirituale nel segno della riconciliazione con se stessi, con Dio, con i fratelli e con la natura.

Tanto l’iniziativa cui oggi partecipiamo, quanto quella che si svolgerà a settembre nell’Umbria dei due Santi, amanti della pace, costituiscono un esempio e un invito a riflettere sui valori da difendere e da trasmettere con fede e tenacia.

Il simulacro del santo pacificatore Ubaldo, che oggi con devozione collochiamo nella Cappella di questo sacrario all’aperto, vuole essere un invito rivolto a tutti gli uomini a cercare con ogni mezzo la pace e la riconciliazione, sapendo che con la guerra, definita da papa Benedetto XV inutile strage, non potrà mai ottenersi la pace, perché la guerra chiama altra guerra, come l’aggressione genera altra aggressione.

Solo il dialogo, la comprensione e il perdono interrompono il circuito perverso della violenza.

Affidiamo a sant’Ubaldo, la cui immagine da oggi si inserisce in quello che fu teatro di guerra, l’importante compito di intercedere presso il Trono dell’Altissimo perché gli uomini diventino più saggi e sappiano conservare il bene supremo della pace.

In questo tempo tormentato da lotte feroci, che ancora insanguinano il mondo, più che mai urgente è l’impegno di ogni uomo di buona volontà a scuotere le coscienze, affinché non restino insensibili all’insegnamento della storia, che ci mostra la follia della guerra, dramma di morte e distruzione, che impedisce l’armonioso cammino dell’umanità.

Soltanto quando i rapporti umani all’interno di ogni popolo e quelli dei popoli tra loro saranno impostati all’insegna della fraternità, solo allora l’umanità potrà perseguire le magnifiche sorti e progressive auspicate dal poeta Giacomo Leopardi, ossia il vero progresso materiale e spirituale, che è la sua autentica vocazione.

Il Vangelo ora proclamato ci ricorda che c’è un cibo che viene dall’alto, capace di sostenere e guidare la vita dell’uomo.

Il pane disceso dal cielo è Gesù, il Figlio di Dio venuto ad abitare con noi, che ci svela un Padre innamorato dell’uomo, vertice della creazione, chiamato a diventare figlio di Dio e a condividere la sua gloria nel suo Regno.

La manna che mangiarono i padri nel deserto era figura di questo pane che sazia la fame di giustizia e di verità che c’è nel cuore di ogni uomo, è il nutrimento che ci sostiene nel duro cammino della vita fino a raggiungere la terra promessa: il Regno dei Cieli.

Nel commemorare oggi l’eroismo e il sacrificio di tanti nostri fratelli, voglio ricordare anche che accanto ai soldati che combattevano e morivano, sia su un fronte che sull’altro, c’erano dei preti, che con il loro ministero li sostenevano nella tragica realtà che stavano vivendo.

Per quegli uomini, destinati al macello, la presenza del prete e dei sacramenti, che egli amministrava nel nome di Gesù, costituiva l’unico conforto e l’unica speranza.

Anche a loro voglio dedicare oggi il mio riconoscente pensiero.

Nella fiducia che il desiderio di pace che tutti ci anima cominci da subito a fermentare e a germogliare nei nostri contesti di vita, accingiamoci innanzitutto a leggere dentro noi stessi per riuscire a individuare e a calmare le nostre personali inquietudini, nella luce e nella speranza di Cristo risorto, nella fede della promessa di vita vera che Egli ha fatto a tutti gli uomini che furono, che sono e che saranno.

+ Mario Ceccobelli

Vescovo di Gubbio