GUBBIO (5 agosto 2017) – Sulle cime e lungo le valli delle Dolomiti bellunesi, quasi duemila eugubini sono saliti per commemorare il Centenario della Festa dei Ceri che i soldati della Grande Guerra vollero celebrare nel maggio del 1917.
Grazie allo sforzo corale di istituzioni pubbliche, associazioni, artigiani e comuni cittadini sono arrivate fino al Col di Lana le copie dei tre Ceri costruiti allora dai militari al fronte, con i tre Santi – Ubaldo, Giorgio e Antonio – della tradizione ceraiola eugubina.
Nel sacrario militare di Pian di Salesei a Livinallongo, oggi la celebrazione della santa messa presieduta dal vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, alla presenza del parroco di Livinallongo don Dario Fontana e del cappellano militare don Lorenzo Cottali. Ecco l’omelia integrale pronunciata da mons. Ceccobelli.
Carissimi, è questa la terza volta che visito questo luogo sacro e la seconda che vi celebro la Santa Messa.
La prima fu il 4 agosto 2007 quando era presente anche il vescovo emerito Pietro Bottaccioli, che ora partecipa a questa celebrazione dal cielo, e che ci regalò, quasi come testamento, la descrizione più bella della nostra secolare corsa dei Ceri, con queste parole:
“Nello scenario di distruzione e di morte dell’inutile strage” (così come Benedetto XV definiva la guerra del 1915-18), i nostri soldati eugubini, nel 1917, sulla linea di un fronte difficilissimo quale era il Col di Lana, incuranti del pericolo, vollero fare la corsa dei Ceri, non come semplice rito esorcizzatore della guerra ma come simbolico disegno alternativo alla guerra: disegno di festa, disegno di vita, disegno di mutua concordia e di pace. I Ceri, pur riallacciandosi in qualche modo a storie lontane e oscure, hanno accolto di fatto il messaggio ubaldiano di pace e di fraternità dalla tradizione cristiana e lo esprimono in grande allegrezza: hilariter, secondo la bolla di canonizzazione del santo patrono. Così, se ogni eugubino sente i Ceri nella sua più profonda sensibilità personale, nel suo Dna, pure non può viverli individualmente. I Ceri sono una grande sinfonia sociale. Non è lo sforzo isolato di qualcuno che li fa volare verso la meta, ma la sinergia di tutti”.
Stupenda quell’omelia fatta a braccio e scaturita dal suo cuore di pastore e amante della sua Chiesa eugubina. Ho visto che in questi ultimi tempi è stata ripetutamente riproposta, riscuotendo ancora ammirazione e un crescente consenso.
Quest’anno, dopo cento anni dalla corsa che i nostri soldati vollero fare proprio qui, in una pericolosissima linea del fronte della Grande Guerra, siamo tornati a considerare i disastri dell’immane tragedia, raccontata dai nomi scolpiti sulle lapidi. Ma dietro ciascun nome c’è un giovane con la sua storia, la sua famiglia e i suoi amici, i suoi affetti più cari, i suoi sogni, le sue nostalgie per il suo paese e le sue tradizioni: tutto stroncato da una pallottola sparata da un fratello anch’esso, come lui, costretto a colpire e a uccidere.
Quando capiremo, quando capiranno gli uomini che decidono le sorti dell’umanità che con la guerra e la violenza non si risolve nessun problema, ma se ne creano altri in una catena senza fine?
La guerra di cui facciamo memoria è ancora più drammatica, perché a promuoverla sono stati popoli che professavano la stessa fede, cristiani che nel battesimo erano diventati fratelli, membri della stessa comunità, della stessa famiglia dei figli di Dio.
Questi poveri soldati furono costretti ad ubbidire a ordini emanati da uomini accecati dal macabro convincimento delle strategie belliche, resi incuranti della dignità delle persone, spinti verso una carneficina che ancora suscita indignazione e sconcerto.
La Parola appena proclamata ci parla ancora di violenza, che purtroppo ha una storia antica quanto l’uomo.
Il tetrarca Erode fa decapitare l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, Giovanni il Battista, e ne consegna la testa su un vassoio alla ballerina Erodiade.
I potenti hanno sempre ragione. È la ragione della forza che umilia i deboli e quando questi creano qualche fastidio li uccide senza pietà.
Ma in questo orizzonte di violenza e di morte c’è anche una parola che suggerisce all’uomo di ristabilire l’equità ogni cinquanta anni.
È il comando che Dio da al suo popolo, è il decreto del giubileo. Il povero non può essere povero per sempre, Dio ordina al suo popolo che passati 49 anni (7×7), nel cinquantesimo si azzera tutto e si ricomincia con spirito nuovo a creare nuove relazioni nel tentativo di rendere gli uomini uguali, almeno dal punto di vista economico.
Voglio sperare che contemplando le tombe dei nostri fratelli uccisi e dopo aver accolto la Parola di Dio possa nascere in noi il sentimento della pace, della riconciliazione, della solidarietà per tentare di creare una società più giusta e più solidale.
Del resto la festa dei Ceri, nella sua generosa coralità, è un’espressione di questa benefica intenzione, nata dall’esempio di sant’Ubaldo, cui la corsa è dedicata, che fu ed è un modello intramontabile per il suo operato tutto vòlto alla comprensione e all’accoglienza verso ogni fratello, tanto da essere stato proclamato da Giovanni Paolo II il Santo della riconciliazione.
Nel 2012 una piccola statua del santo vescovo Ubaldo, patrono di Gubbio, venne collocata da una rappresentanza di eugubini e austriaci nella cappellina situata proprio sull’altura che domina il drammatico avvallamento provocato dagli eventi bellici.
In quell’occasione vi giunsi in elicottero, unico mezzo che poteva permettere al vescovo Pietro di arrivare a destinazione per celebrare con ancor maggiore emozione, come fu per me, l’evento di quell’anno.
La rinnovata ricorrenza e la memoria che oggi celebriamo sia ancora un segno particolarmente suggestivo e tangibile di speranza.
+ Mario Ceccobelli
Vescovo di Gubbio