Con l’arrivo a Gubbio si chiude il pellegrinaggio sul Sentiero di Francesco: ecco il messaggio finale

 

GUBBIO (3 settembre 2010) – Dopo tre giorni di cammino, si chiude oggi il pellegrinaggio sul Sentiero di Francesco, organizzato dalle diocesi di Gubbio e Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, in collaborazione con istituzioni regionali, provinciali, locali, famiglie francescane e tanti gruppi, associazioni e movimenti. Molto intenso anche il programma dell’ultima giornata: la partenza dall’eremo di San Pietro in Vigneto, la sosta presso l’abbazia di Vallingegno, l’arrivo nella chiesa della Vittorina a Gubbio, infine la riflessione conclusiva nella chiesa di San Francesco.

Ecco il testo integrale del messaggio conclusivo redatto dalle famiglie francescane e adottato anche dalle diocesi (da considerare sotto embargo fino alle ore 18 di oggi):

Il simbolismo di un pellegrinaggio svolto insieme contiene una ricchezza che va ben al di là dell’apparenza. Certo, è noto a tutti quanto importante sia il “camminare insieme” – come tanti anni fa insegnava un indimenticabile vescovo, il card. Michele Pellegrino – con tutta la fatica e talora il disagio umano che questo comporta. Differenze non facili di vedute, di sensibilità, di formazione, di mentalità e non ultimo – oggi più di ieri – di razza, rendono arduo il percorrere insieme questa lunga e intricata strada della vita, della quale il pellegrinaggio altro non è che un simbolo. Ma un simbolo estremamente eloquente. L’aiuto reciproco, la comprensione, la riconciliazione con se stessi e con l’altro costituiscono il primo grande stimolo alla costruzione di una città nuova che il pellegrinaggio può donare, se vissuto in tutti i suoi aspetti più o meno faticosi.

Per san Francesco d’Assisi la vita intera fu veramente un andare spedito e sicuro verso un orizzonte che non è raggiungibile, appunto perché orizzonte. Ma il suo non era l’orizzonte della semplice normativa religiosa o della devozione, era l’orizzonte – pur inafferrabile in questa vita – della piena riconciliazione con se stesso, con gli uomini, con il creato e con Dio.

Riconciliazione con se stesso: egli seppe riconoscere i suoi limiti, li seppe a poco a poco vincere confidando totalmente nella misericordia infinita di Dio. E seppe allora “perdonarsi”, attribuendo a Dio tutte le sue vittorie su se stesso, tutto il successo straordinario della sua avventura cristiana, tutto e pienamente il merito del movimento suscitato dalla sua intuizione.

Riconciliazione con gli uomini e con il creato significò per lui vivere una vita di rapporti gratuiti, nella quale veramente si invita a tavola senza calcolo, senza cercare il gruppo che detiene il potere.

Questo è forse un punto essenziale della nostra riscoperta – voglia il Signore che in questi tre giorni sia avvenuta – dell’itinerario del Regno. Dovremmo, in questi giorni, avere ricercato e sperimentato la bellezza di rapporti umani liberi dalla legge del contraccambio.

Noi, in forza della legge inesorabile del peccato originale, facciamo tutto secondo quella del contraccambio. E chi non la rispetta fallisce: non andrà mai ai primi posti. La nostra società – non soltanto quella del Terzo Millennio, certo, anche quella del tempo di Gesù e di san Francesco – sembra essere esclusivamente quella del do ut des, dove il gratuito non esiste. Il problema grave, infatti, si formula in questi termini: dobbiamo accettare fino in fondo le leggi di una società produttiva il cui principio è la competizione? Dobbiamo accaparrarci strumenti tecnologicamente sempre più sofisticati e quindi in grado di farci vivere al livello della concorrenza oppure no?

Non crediamo che sia semplice rispondere. Dire “no” significa dimenticarci che siamo nel gioco; d’altra parte, contestare questa logica, rifiutare questa potenza degli strumenti in nome di un rapporto umano più rispettoso del creato e più libero dalla irresistibile logica del potere, sembra essere l’unica via per riaffermare la vera dignità umana.

Da quale parte staremo? Non è semplice decidere, ma la riflessione e il cammino di questi giorni possono averci aiutati ad arrivare al nodo intimo da cui si divaricano due possibilità di immaginare la vita. La prima è quella della competizione, portata fino alle estreme conseguenze di quelle leggi economiche che plasmano la nostra coscienza affinché sempre segua la logica del consumo. L’altra è quella di un progetto di vita modellato sul rispetto del creato, sulla consapevolezza che esso, anche se non ci garantisce le ricchezze, ci assicura l’equilibrio, la gioia del bello, del rapporto gratuito con le persone e le cose. Che sceglieremo, dunque? Siamo nella impossibilità storica di una scelta perentoria. Eppure lo stare insieme, il sostenerci l’un l’altro, l’andare avanti senza timore (non importa dove, ma ben più il come), sono elementi che ci indicano che proprio nella riconciliazione con noi stessi e con i fratelli dobbiamo manifestare la nostra fede.

Infine, la riscoperta di Dio. Ciò significa riconoscere tre aspetti: l’intenzione eterna di Dio riguardo alle creature, intenzione che si manifesta nel suo amore; il nostro peccato, che è la contraddizione all’intenzione eterna di Dio; infine la Salvezza, che è l’adempimento dell’intenzione di Dio.

Se vogliamo scorgere, come in un epilogo, il progetto di Dio, dobbiamo guardare a Cristo risorto da morte. È in Lui che emerge l’intenzione eterna di Dio.

Il Risorto, ed Egli solo, ci offre la certezza che il nostro Dio è il Dio della vita. Noi aderiamo alla vita, e quindi lottiamo contro tutto ciò che nel mondo significa morte e strumento di morte. Convertirci vorrà dire dissociarci sempre e comunque dalle opere di morte. Ed è opera di morte anche il più nascosto e personale peccato che ha il micidiale potere di inquinare la bellezza della vita.

Affidiamoci dunque all’indicazione del Santo di Assisi. Accogliamo quella parola “pace” con la quale salutava chiunque gli si avvicinasse. La pace, attraverso l’esperienza del pellegrinaggio, diventi il nostro impegno quotidiano: se si rivelerà faticoso, rallegriamoci, perché solamente attraverso la via stretta evangelica si giunge alla luce della Risurrezione.

San Francesco fece la sua parte. La nostra, come egli stesso disse in punto di morte, ce la insegna Cristo, con la sua croce e Risurrezione. Solo se accoglieremo questa sfida al ripudio del peccato e alla scelta costante della riconciliazione, accoglieremo in noi il dono della salvezza.

Gubbio, chiesa della Vittorina, 3 settembre 2010