Mons. Ceccobelli chiude in Cattedrale i lavori dell’Assemblea diocesana 2008

GUBBIO (22 settembre 2008) – Chiusura in Cattedrale, proprio nel giorno della dedicazione ai santi martiri Mariano e Giacomo, per l’Assemblea ecclesiale della diocesi di Gubbio. L’incontro di sacerdoti, religiosi, diaconi e operatori laici che apre l’anno pastorale stavolta era dedicato alla famiglia. E proprio sul tema “Famiglia diventa ciò che sei” si sono concentrate le relazioni di don Achille Rossi, coordinatore della casa editrice e della rivista “L’Altrapagina”, e di mons. Renzo Bonetti, già direttore nazionale dell’Ufficio di pastorale familiare della Cei.

Posso subito rilevare – ha commentato ieri nell’omelia il vescovo, mons. Ceccobelli, tracciando un primo bilancio dell’assemblea – cosa è emerso con prepotenza dai nostri incontri: la carenza di fede e di consapevolezza nei giovani che chiedono il matrimonio-sacramento. È su questo fronte che concentreremo le nostre attenzioni e invocheremo lo Spirito Santo per comprendere quale sia il modo più efficace per aiutare chi si accinge a formare una famiglia, e chi l’ha già costituita, a riaprire gli occhi della fede per poter leggere e interpretare la società moderna alla luce della Parola”.

L’Assemblea diocesana di Gubbio si è chiusa con “un grande dono” – come l’ha definito mons. Ceccobelli – cioè con la consacrazione sacerdotale di Roberto Revelant, celebrata nella Chiesa di San Francesco. Domenica prossima 28 settembre, invece, primo passo verso l’ordinazione presbiterale per Stefano Bocciolesi, il giovane seminarista eugubino che, nella Chiesa di San Venanzo a Semonte, alle ore 17, sarà ordinato diacono.

Si riporta di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata ieri in Cattedrale da mons. Mario Ceccobelli:

Carissimi, lo Spirito di Gesù risorto ci ha convocati qui, nella nostra bella Cattedrale, di cui ricordiamo la dedicazione, per stare con il Vivente, Gesù il Buon Pastore, che ha dato la vita per noi. È attraverso le nostre liturgie, che in Cattedrale arricchiscono la solennità del loro significato, che impariamo a pregustare le gioie del Regno di cui il rito è anticipazione.

Abbiamo appena vissuto gli intensi tre giorni della nostra Assemblea Diocesana, la convocazione annuale durante la quale abbiamo fatto non solo esperienza di Chiesa, ma abbiamo anche preso coscienza di come sia complicata, complessa e in forte mutamento la società nella quale oggi vivono gli uomini e le famiglie.

Siamo anche stati aiutati a riflettere sulle grandi risorse, praticamente non utilizzate, del Sacramento del Matrimonio, che abilita gli sposi a rendere visibile l’Amore di Dio per l’umanità e quello di Cristo per la sua Chiesa.

Lo scorso anno, nella lettera pastorale, invitavo tutti i battezzati a fare il primo passo per dare un volto missionario alle nostre comunità, ossia a riscoprire il valore e il significato del battesimo e l’identità di figli di Dio.

Da questa identità derivano comportamenti nuovi, che è urgente individuare ed assumere per contrastare gli aspetti deleteri di una società incamminata velocemente verso l’adorazione degli idoli. Anzi, più che incamminata, la realtà sociale in cui siamo immersi sembra aver già raggiunto in gran parte la sua drammatica mèta.

Il meccanismo perverso di un sistema basato esclusivamente su uno squilibrato profitto economico ha fagocitato le risorse più elevate dell’uomo, che in nome di un materialismo esasperato insegue tutto ciò che una pubblicità senza scrupoli propone.

La vita è diventata una corsa verso il superfluo, verso il tutto e sùbito, sospinta da un egoismo sfrenato e da un’avidità di possesso di beni materiali che la conduce alla soddisfazione di istinti e desideri svuotati di ogni dimensione veramente umana.

Così, nel consolidarsi di un fraintendimento dei valori, nell’assenza di ricerca di una vera giustificazione, questa esistenza stravolta, scollegata dalla sua identità spirituale e imperitura, illuminata dal Cristo vivente, finisce per approdare al non senso, con le tragiche conseguenze che riempiono le cronache, con quelle più dolorose che spesso l’informazione disattende e con quelle più o meno segrete delle storie individuali.

Tornando al nostro cammino di conversione, questo è l’anno in cui vi invito a compiere, dopo il primo, il secondo passo: riscoprire la famiglia cristiana come soggetto pastorale e risorsa necessaria, in questa difficile congiuntura, anche per la società civile.

La lettera pastorale di quest’anno scaturirà da un discernimento comune che intendo esercitare insieme al Consiglio Pastorale Diocesano.

Nei prossimi giorni, proprio con il Consiglio, verranno ripercorse le tre relazioni e gli interventi dell’Assemblea appena conclusa per proporre a tutta la Chiesa diocesana un itinerario triennale che metta la famiglia al centro delle riflessioni e delle attività pastorali.

Ma posso subito rilevare che un’emergenza specifica è emersa con prepotenza dalla nostra Assemblea: la carenza di fede e di consapevolezza nei giovani che chiedono il matrimonio-sacramento. È su questo fronte che concentreremo le nostre attenzioni e invocheremo lo Spirito Santo per comprendere quale sia il modo più efficace per aiutare chi si accinge a formare una famiglia, e chi l’ha già costituita, a riaprire gli occhi della fede per poter leggere e interpretare la società moderna alla luce della Parola.

La Parola che ci viene donata in questa liturgia ci invita a riflettere sul tempio. Per Salomone è la casa dove Dio scende per incontrare il suo popolo e per ascoltare le sue preghiere. La costruzione di un edificio indica già la necessità di procurare ai credenti un luogo dove potersi riunire per un’esperienza comunitaria del Divino. È una prefigurazione della comunità cristiana, che vive nella comunione con Dio e con i fratelli.

Nella seconda lettura anche Pietro parla di pietre e di edificio, ma solo come metafora per indicare l’edificio spirituale che è la Chiesa formata da pietre vive, ovvero da coloro che hanno ricevuto il battesimo. Siamo noi le pietre vive, che unite le une alle altre, formiamo la Chiesa.

Vi esorto, cari fratelli, a guardare alla nostra Chiesa diocesana con lo sguardo della fede, e a riconoscere il rapporto e la profonda dipendenza gli uni dagli altri. Non possiamo vivere la fede, in seno alla società, come un fatto privato.

Lo Spirito donatoci con i sacramenti del Battesimo e della Confermazione ci unisce in maniera indissolubile a Gesù e tra di noi. È Lui la pietra angolare, il basamento su cui si edifica la comunità e tutti siamo uniti a Lui e tra di noi.

Ma per divenire pietre vive, animate dall’afflato di Gesù e a Lui conformate, dobbiamo prima sperimentare la nostra unione personale con il Signore.

Alla donna samaritana che gli aveva chiesto dove adorare Dio, Gesù risponde: “ I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. Ci sollecita quindi a curare prima il tempio del nostro cuore, dove il Padre ci comunica il suo amore, dove alita lo Spirito che ci unisce a Dio creatore e trinitario, e quindi al Figlio.

Dunque è l’esperienza personale della Trinità che ci inibita, a permetterci di divenire pietre vive, unite a Gesù, pietra angolare, e pronte a unirsi saldamente alle altre per raggiungere, in questa armoniosa coesione, la compiutezza nel Regno di Dio.

Tuttavia le pietre vive non sono tutte uguali: ognuno di noi è un elemento unico con una sua specifica posizione nell’edificio. Se viene meno una qualunque di queste pietre l’edificio non si costruisce, anzi rischia di crollare.

Se infatti si trascurano i particolari carismi più o meno evidenti che possiede ciascuno dei componenti la comunità, se non li si scoprono per valorizzarli nel servizio cristiano, questa non può crescere veramente malgrado la fatica e gli sforzi di alcuni; e se pur sembra avanzare, non lo fa nella pienezza delle sue potenzialità. Sarà sempre una comunità deprivata, che facilmente si deteriora. L’impegno posto nell’apprezzare e attualizzare i doni individuali non è che opera e conquista dell’Amore.

Ed è proprio e sempre l’Amore il cemento che unisce e collega le pietre tra di loro: quello che ci unisce a Gesù e quello fraterno, che non deve essere proclamato a parole, ma deve tradursi in gesti concreti di solidarietà e di condivisione; che si realizza nella testimonianza.

I nostri Santi Mariano e Giacomo, le cui reliquie sono custodite sotto l’altare maggiore di questa Cattedrale, oltre che di esempio con la loro intelligenza del Vangelo e la loro ardente carità testimoniata dal martirio, ci siano mediatori di grazia per costruire la Chiesa che il Pastore dei pastori ci chiama a edificare, e che qui a Gubbio è stata consegnata nella sua realtà particolare a me, vostro pastore e guida, che vi esorta ad operare per condividere e impegnarsi a realizzare l’invocazione più propositiva e convinta, l’aspirazione fondamentale: “Venga il tuo Regno”.