Mons. Paglia a Gubbio per la Festa di S. Ubaldo critica chi continua “a costruire muri e a rispedire indietro chi cerca una vita più serena”

 

GUBBIO (16 maggio 2009) – “Oggi continuiamo a costruire muri e a rispedire indietro coloro che cercano una vita più serena. Penso a certe scelte verso gli immigrati, penso alle parole tristi del Papa di fronte al muro che separa israeliani e palestinesi, penso ai tanti muri interiori che alziamo spesso anche tra noi”.

Sono le parole pronunciate stamattina a Gubbio da mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, presidente della Commissione Cei per l’Ecumenismo e il dialogo, nonché fondatore e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio. E’ stato proprio mons. Paglia a presiedere la solenne celebrazione per la ricorrenza liturgica di sant’Ubaldo, vescovo della città umbra a metà del XII secolo.

I tempi nei quali visse Ubaldo – ha detto ancora mons. Paglia – non erano facili. L’intera Europa viveva un momento di grande cambiamento; iniziavano i primi commerci, ma assieme anche i conflitti, le violenze, le oppressioni. Ed erano tutte interne all’Europa, anzi all’Italia, all’interno dell’Umbria, tra Gubbio e Perugia, tra il Nord e il centro e così via. E molti cristiani, appartenenti sia al clero che al laicato, vivevano lontani dal Vangelo lasciando così che violenza crescesse. I poveri iniziarono ad essere più numerosi e vennero sentiti come un pericolo. E si costruirono le mura per difendersi e leggi per rispedirli indietro. Come vedete, nonostante le dovute differenze la storia si ripete”.

L’affondo del presidente della Commissione Cei per l’Ecumenismo e il dialogo e leader spirituale della Comunità di Sant’Egidio continua sempre sui temi sociali.

E’ l’assenza della mitezza – sostiene Paglia – che sta rendendo amara la vita di questo nostro paese e del mondo. Sì, c’è poco amore, poca accoglienza. Ognuno si preoccupa di se stesso e si difende dagli altri. Ma i disastri di questa mentalità sono sotto gli occhi di tutti”.

La cattiveria tra gli uomini – continua ancora il Vescovo di Terni – ha superato gli argini invadendo tutti gli ambiti della vita: le case, le strade, le piazze, le scuole. Ed è perpetrata a tutte le età: sono violenti gli adulti ma anche i giovani e persino i ragazzi. Quanti giovani a 13 anni ormai si ubriacano tranquillamente e usano i coltelli per ferirsi! E quanto rapidamente si allarga il fenomeno del bullismo! E quanta violenza vediamo nelle nostre case! Quanti anziani abbandoniamo nei cronicari! C’è bisogno di più mitezza, c’è bisogno che sant’Ubaldo sia più ascoltato. Egli ce lo insegna e lo implora”.

Mons. Paglia parla a lungo anche di Ubaldo Baldassini, amato patrono della città di Gubbio che da otto secoli e mezzo gli dedica l’emozionante Festa dei Ceri il 15 maggio, alla vigilia della sua morte.

Ubaldo – aggiunge il Vescovo – non amava scomunicare, non amava condannare. Con un amore sovrabbondante, anche furbo, riportò la pace a Gubbio. (…) La violenza genera sempre altra violenza, e innesca una spirale senza uscita. Ubaldo ci insegna esattamente il contrario: solo la mitezza ci rende felici.”.

La messa solenne per la festa di sant’Ubaldo è stata concelebrata dal vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, e dall’emerito mons. Pietro Bottaccioli, che proprio oggi ricorda i vent’anni dalla sua consacrazione episcopale.

NOTA: le redazioni interessate possono scaricare e utilizzare liberamente varie immagini fotografiche della celebrazione (con l’unica condizione di indicare in didascalia “FOTO PRESS NEWS”); basta cliccare sul link seguente per accedere al set fotografico:

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Ecco il testo integrale dell’omelia di mons. Vincenzo Paglia, pronunciata stamattina nella Cattedrale di Gubbio, alla celebrazione per la Festa di sant’Ubaldo iniziata alle ore 11,15.

Carissimi mons. Mario e mons. Pietro, care sorelle e fratelli, sono onorato per l’invito a celebrare con voi questa liturgia pontificale per la festa di Sant’Ubaldo. So bene quanto questi giorni siano a voi tutti cari e straordinari. Tutto ruota attorno alla straordinaria figura del vostro patrono. Anche la ben nota corsa dei ceri, che attira in città migliaia di persone, ha il suo punto finale nell’ingresso dei ceri nella chiesa che custodisce le spoglie di Sant’Ubaldo. Questo santuario non è però semplicemente il termine di una corsa incredibilmente faticosa a cui ogni eugubino ambisce partecipare. E’ ben di più. Forse dobbiamo leggerla nel profondo. Cosa vuol dire? E’ una semplice competizione che per di più è già deciso come debba finire? Credo, cari amici eugubini, che essa ci richiami un’altra corsa, quella del cuore. Sì, anche il cuore di ciascuno di noi deve correre ed entrare nel cuore di Sant’Ubaldo. Da lui infatti possiamo ancora oggi attingere quell’amore che lo ha reso discepolo fedele di Gesù e protettore di questa città.

I tempi nei quali visse Ubaldo non erano facili. L’intera Europa viveva un momento di grande cambiamento; iniziavano i primi commerci, ma assieme anche i conflitti, le violenze, le oppressioni. Ed erano tutte interne all’Europa, anzi all’Italia, all’interno dell’Umbria, tra Gubbio e Perugina, tra il Nord e il centro e così via. E molti cristiani, appartenenti sia al clero che al laicato, vivevano lontani dal Vangelo lasciando così che violenza crescesse. I poveri iniziarono ad essere più numerosi e vennero sentiti come un pericolo. E si costruirono le mura per difendersi e leggi per rispedirli indietro. Come vedete, nonostante le dovute differenze la storia si ripete. Anche oggi continuiamo a costruire muri e a rispedire indietro coloro che cercano una vita più serena. Penso a certe scelte verso gli immigrati, penso alle parole tristi del Papa di fronte al muro che separa israeliani e palestinesi, penso ai tanti muri interiori che alziamo spesso anche tra noi.

In questo contesto Ubaldo non si lascia travolgere dalla violenza e neppure si rinchiude nel suo piccolo orizzonte. Esce persino da Gubbio. In verità comprese che senza Dio non si poteva vivere. La vita un po’ triste di Gubbio non gli riempiva il cuore. E l’esempio della Chiesa non era proprio nella linea del Vangelo. Ubaldo si mise a cercare e incontrò un gruppo di monaci guidati dal grande Pier Damiani, uomo di Dio e riformatore della Chiesa. Ubaldo ne rimase affascinato. Gli piaceva la vita comune che facevano quei monaci: erano assidui nell’ascolto del Vangelo, vivevano nella preghiera e nell’amore vicendevole e aprivano le porte dei monasteri ai poveri e ai disperati. Questi monaci ispiravano la nascita di una Chiesa che fosse fermento di amore nelle città che si stavano costruendo. Il fascino di questa vita che lui sperimentò a Fonte Avellana, volle riviverlo a Gubbio con alcuni sacerdoti. Gli importava solo questa vita evangelica, tanto che rinunciò persino alla proposta di divenire arcivescovo di Perugia.

Ma quando venne a mancare il vescovo a Gubbio, il Papa lo obbligò a diventare vescovo di questa città. Questa nomina non esaltò gli eugubini. Anzi, all’inizio furono molto freddi, anche perché giudicarono male la sua bontà verso tutti e la sua mitezza nel trattare con le persone. L’accusa? E’ “troppo mite”. Cari amici, è la stessa che fu fatta a Gesù: è buono e tutti gli vanno dietro, bisogna eliminarlo. Ma è la stessa accusa che viene fatta alla Chiesa di oggi quando molti le rimproverano di essere “buonista”, magari perché spinge i fedeli ad accogliere chi lascia la sua terra, i suoi cari in cerca di una vita migliore. Ma per non essere “buonisti” bisogna forse essere “cattivisti”? Essere cattivi è quel che vuole il diavolo! E ne vediamo le conseguenze. E’ l’assenza della mitezza che sta rendendo amara la vita di questo nostro paese e del mondo. Sì, c’è poco amore, poca accoglienza. Ognuno si preoccupa di se stesso e si difende dagli altri. Ma i disastri di questa mentalità sono sotto gli occhi di tutti. E badiamo bene, cari amici, essere “cattivi” è la cosa più facile. E’ l’essere buoni che richiede l’aiuto di Dio. L’apostolo Paolo – lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura – ci esorta: “scompaia da voi ogni asprezza, ira, clamore e maldicenza…Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo”.

Purtroppo queste parole sono rare oggi. La cattiveria tra gli uomini ha superato gli argini invadendo tutti gli ambiti della vita: le case, le strade, le piazze, le scuole. Ed è perpetrata a tutte le età: sono violenti gli adulti ma anche i giovani e persino i ragazzi. Quanti giovani a 13 anni ormai si ubriacano tranquillamente e usano i coltelli per ferirsi! E quanto rapidamente si allarga il fenomeno del bullismo! E quanta violenza vediamo nelle nostre case! Quanti anziani abbandoniamo nei cronicari! C’è bisogno di più mitezza, c’è bisogno che sant’Ubaldo sia più ascoltato. Egli ce lo insegna e lo implora.

Quando gli eugubini iniziarono a colpirsi tra fazioni sino a scannarsi gli uni gli altri, Ubaldo, disperato per questa sua comunità che si distruggeva con l’odio vicendevole, fece una sceneggiata, si gettò a terra sulla piazza fingendosi colpito a morte. A questo punto gli eugubini, pensando fosse rimasto vittima di un conflitto, si raccolsero attorno a lui. A questo punto, Ubaldo si alza e gli fa la lezione sulla pace e sull’amore vicendevole. Ubaldo non amava scomunicare, non amava condannare. Con un amore sovrabbondante, anche furbo come l’episodio che ho raccontato, riportò la pace a Gubbio. Una cosa analoga mise in atto quando il Barbarossa assediò Gubbio per raderla al suolo. Ubaldo era ormai molto malato ma, convinto dalle suppliche degli eugubini, si recò dal Barbarossa. Costui non fu colpito dalla forza dei muscoli di Ubaldo – era molto malato – e tanto meno dai soldati che avrebbe potuto portare con sé. Barbarossa fu toccato nel cuore dalla mitezza di Ubaldo, dal suo amore profondo. E tolse l’assedio alla città. E Gubbio fu salva una seconda volta. Non è la forza della violenza che sconfigge il male, ma la mitezza, l’amore che nasce dal Signore. Davvero possiamo applicare a Ubaldo quel che Gesù disse ai discepoli che tornavano dalla loro prima missione: “vedevo satana cadere dal cielo come la folgore”. Ubaldo aveva fatto cadere la violenza distruttrice del Barbarossa. Con la sua mitezza aveva vinto quell’uomo potente che metteva terrore per la sua forza. In quel giorno gli eugubini potevano ripetere le parole che abbiamo ascoltate dal Siracide: “Premuroso di impedire la caduta del suo popolo fortificò la città contro un assedio. Com’era stupendo quando si aggirava tra il popolo, quando usciva dal santuario dietro il velo, come il sole sfolgorante sul tempio dell’altissimo, come l’arcobaleno splendente tra nubi di gloria”.

Cari amici, la mitezza, l’amore, Ubaldo se l’è conquistata. Anche lui, come ciascuno di noi, era tentato di pensare solo a se stesso, ai suoi affari, alle sue cose. Come imparò ad amare e ad essere mite? E’ questa la domanda che dobbiamo porci, oggi. Ubaldo torna ad essere il vescovo, il maestro, il pastore del suo popolo. Egli si dedicò anzitutto alla preghiera e all’ascolto del Vangelo come aveva appreso dai monaci. E noi dovremmo chiederci: in quanti siamo fedeli a leggere il Vangelo? Era poi straordinario nell’attaccamento alla Messa. E noi? Quanti di noi la frequentano almeno la domenica? Pensate che Ubaldo la cantava tutte le mattine! Mi ha sorpreso apprenderlo dalle cronache su di lui. C’è, infine, la sua compassione per i deboli e i poveri. La pratica di queste tre cose lo ha plasmato, lo ha reso mite, lo ha impegnato a dare la sua vita per Gubbio. Ecco chi abbiamo oggi davanti ai nostri occhi. Se vogliamo raggiungere la mitezza del cuore dobbiamo imitarlo: pregare con il Vangelo, partecipare alla Messa la domenica e amare i poveri.

Voi sapete bene che non è scontato comportarsi in questo modo. Ognuno di noi infatti è portato ad ascoltare più se stesso che il Vangelo, ad andare dove gli pare più che a Messa, a pensare agli affari propri più che a quelli dei poveri. Apprendere l’amore, apprendere la mitezza richiede un impegno almeno quanto quello che richiede la corsa dei ceri; solo che invece di essere un impegno dei muscoli è un impegno interiore, del cuore, dei sentimenti. Ma il mondo, Gubbio, ciascuno di noi ha bisogno di amore, di amicizia, di bontà. Se ciascuno resta per proprio conto vivremo tutti male. Solo l’amore vicendevole ci renderà più sereni, meno nevrotici, più amici gli uni degli altri. Gesù ha detto: “I miti possederanno la terra”. La violenza genera sempre altra violenza, e innesca una spirale senza uscita. Ubaldo ci insegna esattamente il contrario: solo la mitezza ci rende felici.

Cari amici eugubini. Ho scoperto anch’io quanto il vostro protettore sia ricco di amore e di saggezza. Oggi ricordiamo il giorno della sua morte. Narrano le cronache che a Pasqua era ormai senza forze, ma gli eugubini volevano che celebrasse loro quella Pasqua. Ubaldo era però senza forze: “Non ce la faccio! Proprio non ce la faccio!”diceva loro con un filo di voce. E gli uscì anche qualche lacrima. Ma vedendo tanta fede ed anche il pianto del Console che si era recato da lui per intercedere, raccolse le ultime sue forze e celebrò la sua ultima Messa. E la cantò, come sempre. Per lui era sempre una festa. Quale esempio per noi che neppure la Domenica riusciamo ad andare a Messa! Ubaldo parlò ai suoi figli del cielo, del paradiso che presto avrebbe visto. Al termine della Messa due uomini si avvicinano al vescovo: erano un padre e un altro che gli aveva ucciso il figlio. Quella mattina di Pasqua udendo le parole di Ubaldo si abbracciarono nel perdono. Continuiamo ancora, cari amici, ad ascoltare le parole di Sant’Ubaldo, egli parla ancora oggi all’inizio di questo millennio perché i nostri giorni siano di pace e non di violenza, di amore e non di conflitto. Avviciniamoci a questa nostra Messa come gli eugubini di allora si avvicinarono a quella Messa di Pasqua celebrata da Ubaldo. Egli oggi non ci parla del cielo, ma dal cielo. E’ dal paradiso che continua a dirci: “vogliatevi bene”, amatevi gli uni gli altri”, perdonatevi a vicenda”, “aiutatevi” e la vostra vita sarà più serena e più felice.

Mons. Vincenzo Paglia

Vescovo di Terni-Narni-Amelia